Camorra a Napoli. Racket, operaio sequestrato: 40mila euro ai nuovi boss

Camorra a Napoli. Racket, operaio sequestrato: 40mila euro ai nuovi boss
di Leandro Del Gaudio
Sabato 5 Settembre 2020, 10:01 - Ultimo agg. 10:02
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Un sequestro di persona, con riscatto da 40mila euro, per suggellare un nuovo patto tra clan. Area nord, siamo in quella terra di confine tra Scampia, Chiaiano e Secondigliano, quando si fa avanti l'ultima frontiera della camorra cittadina: il sequestro di un operaio, un 30enne incensurato e lontano da ambienti criminali, che viene tenuto per ore legato a una sedia in un sottoscala tra Chiaiano e Scampia. Almeno venti criminali si alternano nella gestione dell'ostaggio, fino a quando i genitori dell'operaio si decidono a raccogliere i soldi richiesti dal clan: 40mila euro cash vengono date in due tranche ai sequestratori (la richiesta iniziale era di 50mila euro), per riavere sano e salvo il figlio. Vicenda da brividi, ieri gli arresti, grazie a indagini tecniche (le immagini delle telecamere catturatarghe, intercettazioni telefoniche) e alla denuncia delle parti offese. Sequestro di persona, racket, in cella finiscono i presunti esponenti di un melting pot criminale: Salvatore Roselli (del 1976); Giuseppe Calemma (1994), Pasquale Concilio (1997), Stefano Di Fraia (1984), Gennaro Rianna (1991), Ciro Montagna (1997), Gennaro Caldore (1986), Nunzio Pecorelli (1993), Costantino Raia (1976), Nico Grimaldi (1995), Emanuele Mincione (1995), Giovanni Strazzulli (1995), Antonio Ronga (1993).

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VERBALI CHOC
È il 13 febbraio scorso, nella zona di Santa Maria a Cubito, quando Stefano Pettirosso viene circondato da un gruppo di sequestratori in sella alle moto. Uno di loro mostra la pistola, Pettirosso è costretto a parcheggiare l'auto e a montare in sella a una moto. Viene portato nella villa comunale di Chiaiano, dove Pettirosso è costretto a chiamare il padre, a convocarlo a un appuntamento dove i sequestratori danno inizio alla trattativa. È a questo punto che viene avanzata una richiesta di 50mila euro, a colpo sicuro. Come hanno fatto a conoscere la disponibilità finanziaria di casa Pettirosso? Estraneo a fatti di camorra, il padre del ragazzo sequestrato ha svolto per 35 anni attività di parcheggiatore abusivo all'esterno del secondo Policlinico («guadagnavo 350-400 euro al giorno», dice in una conversazione), oltre ad avere una pensione di invalidità civile. Ma torniamo al dramma di Stefano. Viene immobilizzato su una panchina della villa comunale di Chiaiano, poi condotto in un sottoscala di Scampia, quando i sequestratori capiscono che la madre non è disposta a trattare ma orientata a sporgere denuncia. Ma ecco le parole messe a verbale dal 30enne: «Una persona prese un accendino e mi bruciò la mano. Poi mi disse a me piace accendere la gente e se tua madre ha chiamato le guardie tu muori appicciato. In quel momento avvicinò l'accendino sul palmo della mia mano destra». Ma non era finita. Ancora sevizie e minacce: «Uno dei sequestratori mi disse che se mia madre avesse chiamato le forze dell'ordine mi avrebbero tagliato tre dita. Mi mostrò un coltello con la lama di 20 centimetri, poi le pistole con cui mi avrebbero ucciso». Verbali choc, secondo quanto emerge dal lavoro investigativo condotto dai carabinieri del comando provinciale agli ordini del generale Canio Giuseppe La Gala e dalla compagnia Vomero (del capitano Giuseppe Scotto Di Tella), sotto il coordinamento del pm anticamorra Maria Sepe. Ma torniamo alla denuncia della vittima: in attesa che nel covo arrivi il riscatto, uno dei sequestratori lo perquisisce e si accorge che l'operaio ha in tasca i soldi dello stipendio. Li conta, ci sono 1100 euro, che ovviamente il camorrista mette subito in tasca, lasciando al 30enne una battuta amara: «Mi diede cinque euro e mi disse, quando domani vai al lavoro comprati di il panino...». Finalmente arriva il via libera. Un gruppo di elementi (circa una ventina) arrivano nel covo sbracciandosi, facendo capire che era fatta. Uno di loro mostra 30mila euro, dicendo che la mamma della vittima lascerà la seconda tranche solo dopo aver avuto la certezza che il figlio fosse ancora in vita. «Mi riconsegnano il telefono, chiamo casa e li avviso che sto bene». Arrivano altri 10mila euro, un totale di 40mila euro, può bastare. Per la Dda di Napoli si tratta di un autofinanziamento di un gruppo nato dalla convergenza del gruppo di Roselli, Gemito (quest'ultimo irreperiboile) e Pandolfi (tre esponenti della Vinella grassi); di Fraia (che appartiene al gruppo ex Lo Russo, che fa capo al presunto boss Cifrone); e al gruppo di Raia (a sua volta indicato come emergente di Secondigliano).
 

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