Coronavirus, la forza di Francesco emigrato a Legnano: «Amici napoletani, restate a casa»

Coronavirus, la forza di Francesco emigrato a Legnano: «Amici napoletani, restate a casa»
di Antonella Laudisi
Lunedì 30 Marzo 2020, 09:00
3 Minuti di Lettura
Cita Baccini. «Lui - dice - parla delle donne di Napoli, io la canzone la cambio un po': le persone di Napoli, Dio, ma che bella invenzione, riescono a ridere anche sotto l'alluvione». Francesco Pastore, di Torre Annunziata ma emigrato al Nord alla fine degli anni 90, parla di sé e di come nel reparto Covid dell'ospedale di Legnano, nella Lombardia trafitta dal male, prova a tenere su il morale anche dei colleghi. «Una pneumologa ha detto che ho un effetto rasserenante, insomma come il Valium», scherza. Poi si fa serio, spiega: «Fino a qualche settimana fa ero in chirurgia gastrica, un lavoro impegnativo ma non c'erano mascherine, visiere, tute a nascondere il volto. E allora anche entrare in una stanza, dove pure c'era tanta sofferenza, con il sorriso diventava rasserenante. Ora tutto è diverso».
 

In che senso?
«Abbiamo dovuto imparare tutto in poco tempo e con comprensibile difficoltà, nonostante, nel mio caso, una esperienza ultra ventennale. Qui anche gestire una cartella clinica è diverso. Ecco perché immettere subito personale che ha appena terminato gli studi è complicato. Ma oggi paghiamo anni di mancati riconoscimenti al lavoro infermieristico, paghiamo i tagli alla Sanità».

Ora però vi chiamano eroi.
«Ma no, non siamo eroi. Siamo quelli di prima: donne e uomini che svolgono il loro lavoro con dedizione. E non solo noi, infermieri o medici, anche gli operatori sanitari che ci aiutano in corsia».

Ci voleva questa tragedia per farvi ottenere il rispetto che meritate.
«L'altro giorno davanti all'ospedale si sono presentati i vigili del fuoco con le autobotti e le sirene per rendere omaggio al nostro lavoro. Mi sono commosso perché loro rischiano davvero la vita ogni giorno. Da loro accetto con orgoglio quel gesto, ma finora in troppi non avevano capito quanto è importante il nostro lavoro. E ora ci chiamano eroi. Vedremo, quando tutto sarà passato, se ci sarà ancora tutta questa riconoscenza».

Polemico?
«No, nessuna polemica. In questo momento dobbiamo solo fare squadra. È terribile, ho visto pazienti che erano in ripresa, poi all'improvviso sono peggiorati e per loro è stato necessario il trasferimento in Rianimazione».

Come siete organizzati?
«Turni faticosi, ma soprattutto perché ogni volta che entriamo in una stanza dobbiamo coprirci come vedete nelle immagini delle tv. Poi una volta usciti c'è un punto dove svestirci».

Preoccupato di essere fonte di contagio per i familiari?
«La preoccupazione c'è sempre, il fatto di essere asintomatico non mi tranquillizza, per noi non sono previsti i tamponi. Ma le precauzioni che prendiamo ci mettono al riparo». Francesco e la moglie Antonia, anche lei infermiera («ma in un altro ospedale e non in un reparto Covid») hanno tre splendidi figli: Emanuele, Pietro e Massimo.

Che pensi delle misure per il contenimento del contagio?
«È talmente spiazzante quello che sta accadendo che non me la sento di giudicare, certo l'unica strada è chiudere perché bisogna assolutamente fermare il contagio per evitare che gli ospedali non possano più dare assistenza».

Come nel caso degli anziani.
«Il protocollo impone il ricovero solo in caso di insufficienza respiratoria e questo vale per i giovani come per gli anziani. Purtroppo stiamo osservando forme molto aggressive nei giovani».

Che terapie usate?
«Per ora un farmaco simile a quello del Pascale».

«Posso lanciare un appello?».
Certo.
«Per favore, amici napoletani, restate a casa, rispettate le regole». 
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