Lockdown a Napoli, i negozi salvati dal Dpcm: «Incassi zero, così è inutile»

Lockdown a Napoli, i negozi salvati dal Dpcm: «Incassi zero, così è inutile»
di Gennaro Di Biase
Martedì 17 Novembre 2020, 09:00
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Negozi aperti nelle strade deserte. Commercianti al lavoro e clienti a casa: è questo lo scenario del primo lunedì di zona rossa in città. Sono tante le attività indenni da chiusure nell'ultimo dpcm, e sono tanti i commercianti che ieri hanno chiuso a metà giornata visti «gli incassi zero» e che progettano turni ridotti per il resto della settimana. Il maltempo non ha aiutato, ma tra gli esercenti è diffusa l'idea che lo Stato «non abbia chiuso molte attività per evitare di pagare i ristori».

Cartolerie, negozi di intimo, attività di abbigliamento per l'infanzia, fiorai, elettrodomestici, librerie, profumerie, cosmetica: tutti aperti e quasi tutti deserti. Tanta offerta per una domanda quasi azzerata. «La giornata è nera - spiega Sandro Manno, fioraio di via Pessina - Se restavo a casa risparmiavo la luce. Da stamattina è entrato un solo cliente e ho incassato 5 euro. Era meglio chiudere tutto. Diversi negozi qua intorno hanno chiuso, e tra poco chiudo anch'io. Perché farci stare aperti, mi domando? Forse perché non vogliono pagarci i ristori?». Le cose non vanno meglio a Corso Umberto: «L'abbigliamento per l'infanzia è aperto, come da dpcm - commenta Francesco Martone dell'omonimo store - Per strada non c'è nessuno, rischiamo di subire una rapina e ieri ho incassato zero euro.

Zero. Da oggi studieremo un orario ridotto. Stare aperti fino alle 20 è del tutto inutile. Sarebbe stato meglio chiudere tutto per salvare il Natale, che rappresenta il 60% degli incassi: le categorie aperte sono tante, ma non si incassa nulla. Questo lockdown è rosé, è una mezza misura: se non salviamo il Natale e non riapriamo per l'Immacolata sarà l'ecatombe. Il governo ha lasciato tutto aperto per dare meno ristori possibili: a questo punto la penso così». 

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Il malcontento è diffusissimo tra i commercianti, sia tra chi è al lavoro sia tra chi ha dovuto abbassare la saracinesca. La lista dei comparti chiusi non è lunga, e comprende boutique di abbigliamento per adulti, artigiani e gioiellerie. Eppure, in tanti stanno provando a fronteggiare le vendite online, il cui boom inasprisce la crisi delle realtà commerciali della strada. «Stiamo cercando di essere positivi - racconta Anna Minucci di A&M Bookstore in via Duomo - Ci stiamo organizzando nel nostro piccolo per resistere alla forza delle grandi piattaforme: teniamo il negozio aperto di mattina e dedichiamo il pomeriggio alle consegne di libri a domicilio. Potrebbe essere una buona strategia per far sopravvivere i negozi non virtuali». Commercio reale contro commercio virtuale, insomma, visto che lo shopping online passa quasi interamente attraverso le grandi piattaforme delle multinazionali. «Il lunedì è andato malissimo - aggiunge Pasquale Langella, libraio Qui Port'Alba - a ieri non c'era un'anima e ho venduto due libri in tutto. Apro con la speranza che qualcuno entri in negozio. Del resto, se chiudo lo Stato non mi risarcisce. Facendo parte della zona rossa, ma potendo restare aperti, siamo comunque esclusi dai ristori. Almeno al momento le cose stanno così, e non ci è arrivata nessuna notizia contraria. Sto ancora aspettando mille euro di finanziamenti da marzo. Ma non mi piace stare in casa e piangermi addosso: non sarebbe la soluzione giusta. Per aiutarci in questo momento difficile i consumatori potrebbero chiamare direttamente i negozi per farsi portare i prodotti a casa, piuttosto che rivolgersi alle multinazionali».

«Un giorno solo è poco per fare un bilancio spiega - Fabio Amodio della cartolibreria Amodio A-Store srls - Il fatturato quest'anno è stato sicuramente inferiore al 2019, ma aspettiamo dicembre con un po' di fiducia. In tanti anni di attività ne abbiamo viste tante: non permetteremo alla pandemia di ucciderci». 

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