Maltempo, a Meta la pioggia abbatte
l'ultima roverella monumentale

Maltempo, a Meta la pioggia abbatte l'ultima roverella monumentale
di Ciriaco M. Viggiano
Sabato 24 Febbraio 2018, 14:27
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META - Aveva resistito ai venti, alla siccità, alle piogge e alle malattie, abbarbicata sulla ripida scarpata che sormontava il rivo Lavinola. L'ultima ondata di maltempo, però, si è rivelata fatale per la storica roverella (Quercus pubescens) che da quasi 200 anni si stagliava nei pressi del ponte che segna il confine tra i Comuni di Piano di Sorrento e Meta. A denunciarlo è Claudio d'Esposito, presidente del Wwf Terre del Tirreno.
 

 

L'albero, alto diversi metri, appariva pericolosamente abbattuto in avanti da diversi giorni. Per l'esattezza da quando, il 7 febbraio scorso, la pioggia incessante aveva sbriciolato la piazzola di sosta lungo il tratto locale della statale 163 Amalfitana. I detriti avevano letteralmente spostato la roverella, come segnalato da alcuni residenti. Nelle scorse ore, purtroppo, l'albero è definitivamente crollato: «Non sappiamo se ciò si sia verificato a seguito della recente frana che ha movimentato tonnellate di terreno o per un improvviso ruscellamento di acque meteoriche causato da lavori effettuati impropriamente sotto la strada - spiega d'Esposito - Certo è che, con la repentina modifica del delicato equilibrio idrogeologico del sito e col persistere delle piogge, il grande patriarca arboreo stavolta non ce l’ha fatta».

Appena appresa la notizia del crollo, anche in considerazione del fatto che l’albero è scivolato con tutto l’apparato radicale, il Wwf ha contattato il sindaco Giuseppe Tito concordando un sopralluogo in zona. L'obiettivo? Verificare la possibilità di recuperare la pianta, rialzandola nell’alveo o tentando uno spostamento in altro sito: impresa difficile, viste le dimensioni della roverella e il peso di svariate tonnellate. «Abbiamo il dovere di tentare - conclude d'Esposito - Negli ultimi anni, in penisola sorrentina, abbiamo perso troppi grandi alberi: vittime delle avversità della natura, ma più spesso di incuria, vandalismo e deprecabili interessi privati sostenuti da compiacenti agronomi. Così rischiamo di dire addio a importanti scrigni di biodiversità e baluardi indispensabili per ridurre l’inquinamento e proteggere il territorio dal dissesto idrogeologico».

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