Napoli, ristoratori in agonia: «Un locale su quattro già rischia di chiudere»

Napoli, ristoratori in agonia: «Un locale su quattro già rischia di chiudere»
di Gennaro Di Biase
Mercoledì 15 Luglio 2020, 08:51 - Ultimo agg. 12:12
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Ristoranti: incassi più che dimezzati. L'economia napoletana all'uscita dalla quarantena è fortemente ridimensionata, «del 55% di media a giugno 2020, con una perdita di 150-200 milioni di euro» secondo i dati Fipe Confcommercio. Ogni pubblico esercizio ha numeri diversi a seconda delle zone, ma le cifre sono sempre in perdita. «A uscire sono per lo più i ragazzi, che spendono meno spiega Massimo Di Porzio di Fipe Napoli I locali con spazi all'aperto hanno retto meglio, ma se il trend non si inverte, tra ottobre e novembre vedremo chiusure di massa: a rischio un ristorante su quattro in città, oltre 1000 attività e 10mila dipendenti». Sono tanti i posti già andati in fumo per i dipendenti senza requisiti per la cig (stagionali, stagisti, lavoratori a nero). Per evitare un'ecatombe disoccupazione, sarà decisiva la proroga della cassa integrazione fino a fine anno». 

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I dati Fipe per bar e ristoranti non si allontanano da quelli forniti ieri da Confcommercio sulla vendita al dettaglio. Il decremento medio di incassi, rispetto a giugno 2019, si attesta tra «50 e 60%». Il Lungomare va meglio, con un «35% in meno», ma nel Borgo Marinari, dove il target di clienti è più elevato e si lavora con i turisti dei grandi Hotel ancora semideserti si arriva al «70% di entrate perse». Nei locali di Chiaia si lavora «la metà». Ma i quartieri col maggior crollo di coperti sono quelli degli uffici e quelli residenziali e\o periferici: Secondigliano-Scampia, Centro Direzionale, Fuorigrotta, Soccavo. Qui la decrescita viaggia «tra il 70 e l'80%». Piange anche il centro storico, con una perdita di indotto del «60% medio». Il caldo, gli spazi pittoreschi ma stretti, il collasso del turismo e la chiusura dell'Università hanno distrutto le entrate tra Decumani e dintorni.

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Le parole di Giuseppe Vesi, tra i big della pizza napoletana, con 3 locali in città (Vomero, Lungomare, piazza Miraglia), sintetizzano lo stato di salute della ristorazione partenopea: «Quello del Lungomare è il locale che va meglio, con il 20% in meno. Lì abbiamo tenuto l'80% del lavoro. Al Vomero siamo calati del 50%, considerando anche l'asporto, che ha salvato il locale. A piazza Miraglia registriamo un calo del 60-70%: lì si lavorava con turisti e studenti fuorisede, che a causa del virus non vivono più in centro storico. Ho dimezzato il personale e anche al Vomero ho dovuto tagliare 6 dipendenti su 14. Purtroppo non c'erano altre strategie per salvare le attività. Finita la cig ci troveremo un esercito di disoccupati. Dal 17 agosto in poi scade l blocco dei licenziamenti. Per evitare il peggio servirebbe il vaccino al Covid». Per fortuna, il cibo a domicilio va bene: «La crescita del delivery è del 35% nei miei 15 locali - dice Enrico Schettino di Giappo Su Napoli più 40%. Per i tavoli interni abbiamo perso molto invece, come in aeroporto, nei centri commerciali e con le disdette dei matrimoni: resiste il divieto di buffet. La pandemia è anche l'obbligo di rivedere le regole del commercio». 
 


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Tra le macerie a volte si trovano i fiori. Il trend si inverte per i bar di prossimità. Sono in tanti a consumare l'aperitivo sotto casa, a km 0. Il cosiddetto «aperitivo glocal». «Le cose stanno andando meglio racconta Fabio Calabrese di Wine Note, zona Colli Aminei nei nostri locali c'era un flusso maggiore nei weekend, oggi è il contrario. I ragazzi che escono, insomma, in settimana si fermano sotto casa. C'è un incremento della gente del quartiere, prima era solo il 20% della clientela e adesso arriva al 70. C'è un tipo di presenza diversa e cambia anche la natura del rapporto cliente commerciante, che diventa quasi un'amicizia». «Nel post-Covid si è incrementato l'aperitivo pomeridiano aggiunge Raffaele Simonte di Caffettiamo in viale Campi Flegrei Almeno del 30%. Si è rianimata la vita di quartiere che negli ultimi anni si stava spegnendo: è un fenomeno sotto gli occhi di tutti ed è uno dei pochi lati positivi della pandemia. Speriamo di cogliere il meglio dalla terribile esperienza». «Non tutti oggi possono permettersi di andare a mangiare fuori conclude Di Porzio In strada non ci sono più i professionisti (in smart working). Visivamente, la movida non ha perso in quantità, ma in qualità degli incassi sì. Inoltre, il turista prende vari spritz con aperitivo, tre 20enni si dividono una bottiglia di birra».
 

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