Scacco al clan Moccia, preso il boss con casa ai Parioli e ai Fori Imperiali

Scacco al clan Moccia, preso il boss con casa ai Parioli e ai Fori Imperiali
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 24 Gennaio 2018, 10:40 - Ultimo agg. 10:41
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Aveva due case a Roma, una ai Parioli e un'altra in zona Fori Imperiali, dove si intratteneva nel corso dei fine settimana. Il resto del tempo - i giorni feriali - li trascorreva nella «sua» Afragola, roccaforte di un potere criminale radicato nell'area metropolitana. Eccolo Luigi Moccia, il presunto boss di una famiglia indicata dalla Dda di Napoli come capace di sopravvivere alla guerra ai cutoliani (1978-1983) e alle faide con le famiglie Giugliano e Magliulo.
 


Quarantacinque arresti, su oltre sessanta indagati, un durissimo atto di accusa firmato dal gip Tommaso Perrella, che colma un vuoto generazionale: era dalla fine degli anni Novanta che mancava una ricostruzione investigativa così capillare sulle presunte attività illecite alle porte di Napoli (ma anche nel capoluogo partenopeo e in quello romano). Inchiesta coordinata dai pm Ivana Fulco, Gianfranco Scarfò e Ida Teresi, sotto il coordinamento dell'aggiunto Giuseppe Borrelli, partiamo dall'arresto dei presunti boss e «senatori» del clan Moccia: si parte dal ruolo di Anna Mazza, la cosiddetta vedova nera (le uccisero il marito Gennaro negli anni Settanta) deceduta mesi fa per cause naturali, dopo aver retto le redini della famiglia; per arrivare al ruolo dello stesso Modestino Pellino, ucciso nel 2012 sul litorale laziale; di Salvatore Caputo, anch'egli deceduto.

Agli arresti, oltre a Luigi Moccia, anche la sorella Teresa, Filippo Iazzetta, Domenico Liberti, Mario Luongo, Pasquale Puzio, Antonio Senese. Associazione camorristica, racket, armi, al termine delle indagini della Dia del capocentro Giuseppe Linares, ma anche degli agenti della Mobile, dei carabinieri di Castello di Cisterna e dei militari della Finanza.
 
Coinvolti anche due poliziotti (uno dei quali finito in cella), ritenuti responsabili di «soffiate» in favore dei Moccia, mentre ci sono riferimenti poco lusinghieri verso un parroco, che si sarebbe prestato a trasportare soldi sotto l'abito talare. Milioni di euro sarebbero stati investiti dai Moccia per spingere i pentiti a ritrattare, mentre lo stesso gip Perrotta sottolinea la capacità «di infiltrazione» del clan nella vita sociale, economica, politica. Scrive il gip: «C'è la capacità di influenzare gli esiti di vicende processuali mediante complesse strategie difensive, ovvero la corruzione di testimoni e collaboratori di giustizia, ed infine sostenendo proposte legislative finalizzate al riconoscimento dei benefici di pena ai cosiddetti dissociati». Un passaggio che merita un chiarimento: in questa vicenda non sono accusati gli avvocati che si sono avvicendati nella difesa dei Moccia; né è stato coinvolto Angelo Moccia, due anni fa scarcerato dopo una lunga detenzione, reduce dalla dissociazione di inizio anni Novanta; né è coinvolto Antonio Moccia, attualmente a giudizio dinanzi a una sezione del Tribunale di Napoli.

Poi c'è il racket. Si va dalle grandi opere (il gip cita «l'asse mediano, lo svincolo Napoli-Roma, il progetto ferroviario per l'alta velocità» che ha in Afragola la stazione porta), fino a una miriade di opere colpite dalla tagliola del pizzo: cimitero di Caivano e Frattamaggiore; le assunzioni alle imprese della raccolta e smaltimenti rifiuti, i lavori per la ex caserma e per l'ospedale di Frattamaggiore, ancora impianti sportivi a Caivano e Pascarola. Ma non mancano indagati eccellenti, come il coinvolgimento di due poliziotti e di un parroco. Andiamo con ordine, a partire dagli agenti ritenuti «a disposizione del clan Moccia»: finisce in cella Salvatore Zimbaldi, in forza alla Digos, in passato al lavoro in Prefettura e alla Mobile, che ha svolto anche il ruolo di scorta dell'ex presidente della Regione Stefano Caldoro (ovviamente estraneo alla vicenda e alle indagini di cui stiamo parlando): sono diverse le foto estratte da Facebook tra il poliziotto e i figli del direttorio di casa Moccia. Misura interdittiva, invece, per Antonio Boemio, assistente capo in servizio presso il commissariato di San Giovanni a Teduccio, che viene coinvolto in relazione alla gestione di una società di energia. E non è finita. Nella presunta piovra alle porte di Napoli, viene tirato in ballo anche un prete, don Salvatore Barricelli, che finisce nella trama di intercettazioni a carico di Zimbaldi. Non è indagato, ma sul suo conto sono scattate verifiche in relazione a presunti trasferimenti di somme di denaro. Ed è proprio grazie alle intercettazioni, che si sente la voce di Zimbaldi affermare parole gravi sul presunto ruolo del parroco. Che, secondo la sintesi dei pm, «veniva utilizzato come strumento per trasportare capitali all'estero (San Marino), occultandoli sotto l'abito talare».
 

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