Il tesoro Zagaria e un sindaco in fuga. «Tangenti per le delibere, il Comune è Cosa Nostra»

Il tesoro Zagaria e un sindaco in fuga. «Tangenti per le delibere, il Comune è Cosa Nostra»
di Mary Liguori
Venerdì 11 Dicembre 2015, 08:06 - Ultimo agg. 09:12
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Trentotto collaboratori di giustizia che hanno prodotto complessivamente 170 verbali ed hanno così ricostruito gli affari del clan Zagaria dalla fine degli anni 90 ad oggi. A suffragio di quelle dichiarazioni, un fiume di intercettazioni telefoniche e di consulenze che hanno convinto il gip ad accogliere in toto il quadro accusatorio tratteggiato dalla procura. Sono questi i numeri dell'ennesima inchiesta che ha travolto il tessuto imprenditoriale e politico di Terra di Lavoro.

Lo scenario sul quale si staglia la figura del sindaco Michele Griffo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e in fuga come gli imprenditori Alessandro Falco e Gaetano Balivo, è fatto di una serie di relazioni pericolose, contatti costanti tra i colletti bianchi e i camorristi, in una commistione di interessi che hanno retto una larga fetta dell'economia dell'Agroaversano per due decenni. È tra gli altri il pentito Gaetano Vassallo, ex imprenditore del settore ecologia, a tratteggiare la sagoma del politico irreperibile.

«La persona di Trentola Ducenta politicamente molto amica di Dario De Simone (capozona dei Casalesi, ndr) è l’ex sindaco Michele Griffo. Michele Griffo era Dario De Simone a Trentola. A Griffo – si legge nel verbale agli atti - pagavo una mazzetta pari ad un paio di milioni di lire al mese in cambio della delibera del rinnovo dell’affidamento del conferimento dell’incarico della smaltimento dei rifiuti solidi urbani di quel comune presso le mie discariche». Voti, dunque, in cambio di appalti. E così gli imprenditori vicini al clan, espressione diretta dell’allora latitante Michele Zagaria, decidevano anche come dovesse essere composta la giunta di Trentola Ducenta. Le parole del collaboratore Francesco Cantone sono illuminanti in tal senso: «Io e mio fratello – è scritto in uno dei suoi verbali dichiarativi - abbiamo sempre appoggiato Griffo, facendogli avere tutti i voti necessari per essere eletto. Appoggiavamo anche altri politici, ai quali riuscivamo a fare avere degli assessorati nella maggioranza del sindaco». E ancora Vassallo parla di mazzette e di informazioni che il primo cittadino gli forniva in merito a degli espropri ai quali era interessato.

«Griffo mi disse che io in ogni caso avrei potuto avere tutte le notizie di cui avevo bisogno tramite i mediatori e i tecnici comunali». In cambio Cantone gli avrebbe garantito appoggio elettorale e opera di «convincimento» su eventuali politici dissidenti a votare gli atti comunali targati Griffo. «Dissi al sindaco che potevo intervenire su eventuali consiglieri comunali che si opponevano alle delibere che voleva far approvare, ma lui, in cambio, doveva darmi notizia di tutti gli espropri che avvenivano a Trentola Ducenta: mi assicurò che sarebbe sempre stato a mia disposizione per ogni esigenza». Favori, dunque, agli imprenditori, ma anche carriere brillanti per quei tecnici che si sarebbero mostrati collaborativi con la causa del «sistema».

Sergio Sergi e Maria Carmen Mottola, entrambi dell'ufficio tecnico comunale, mostrano «un debito di riconoscenza verso i politici». La donna – tra gli arrestati, fino a ieri funzionaria dell'Utc - «è consapevole che il suo destino professionale dipende dal sindaco Griffo, così come Sergi – architetto dipendente del Comune di Trentola Ducenta, indagato a piede libero – sa che la sua carriera è nelle mani dell'altro ex primo cittadino finito nei guai, Nicola Pagano, e dell'ex consigliere comunale Luigi Cassandra».

«Così – sostiene il giudice per le indagini preliminari – Entrambi si sentono in debito non solo moralmente, ma anche economicamente, attese le indennità connesse alle posizioni dirigenziali ricoperte ed i compensi aggiuntivi per gli incarichi di progettazione e direzione lavori connessi ad opere realizzate dal Comune». Di qui la loro abnegazione e la disponibilità ad appoggiare le decisioni del sindaco. E dalle loro condotte che avrebbero spianato la strada ad imprenditori ritenuti al soldo di Zagaria (tra gli altri, Pasquale Fontana, Raffaele Donciglio e Francesco Martino, già coinvolti nell'inchiesta «Medea»), sono nate le ipotesi accusatorie che si sono configurate nei reati contestati, a vario titolo, ai 24 arrestati ed ai 22 indagati a piede libero: associazione a delinquere di stampo mafioso, intestazione fittizia di beni, riciclaggio, estorsione, falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, abuso d’ufficio, truffa, turbativa d'asta. Intorno al Jambo, il centro commerciale dal valore di 60 milioni di euro sottoposto a sequestro preventivo, ma aperto e commissariato, ruotavano dunque una serie di interessi che rispondevano alle esigenze della cosca Zagaria.

Persone, appalti, intere aziende, l’ufficio tecnico del Comune, il sindaco stesso erano - scrive il gip - «nelle mani di Michele Zagaria».

Un panorama desolante che però spiega la copertura ultradecennale che decine di persone - secondo quanto emerso dalle indagini - avrebbero garantito al boss, consentendogli una latitanza dorata nella sua Casapesenna. Zagaria, nell’Agroaversano, creava posti di lavoro, colmando quelle lacune occupazionali che alimentano il cancro della camorra.