C'era una volta l'Estate a Napoli di Valenzi

di Federico Vacalebre
Domenica 30 Giugno 2019, 09:00
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Com'è triste Napoli nel celebrare i quarant'anni dell'«Estate a Napoli», nel rendere a Valenzi il sacrosanto merito dell'intuizione di aver importato il modello dell'effimero nicoliniano nella città porosa. Il 28 giugno 1979 la neonata kermesse partì con l'orchestra e il coro del San Carlo nel Maschio Angioino alle prese con la Nona sinfonia diretta da Elio Boncompagni. Il primo sindaco comunista della città investì, strutture comprese, circa trecento milioni di lire, «meno di un millesimo del bilancio comunale», ripeteva a giornalisti e collaboratori. Erano anni di piombo, di teatri chiusi, eppure di una straordinaria vitalità culturale, stava per esplodere il neapolitan power ed Eduardo De Filippo era vicinissimo alla giunta dell'amico Maurizio. Imparammo a «riprenderci» la città partendo dal castello, negli anni venire sarebbero arrivare le star, avremmo scoperto Marcel Marceau e Lindsay Kemp, ma in quel 1979 tra voci jazz e complessi folk - possibilmente del blocco sovietico o terzomondista - Tato Russo mise in scena il suo famoso «Sogno di una notte di mezza estate» post-shakespeariana, Mariano Rigillo arrivò con il Piccolo di Milano, Roberto De Simone, reduce dalla clamoroso successo della «Gatta Cenerentola», firmò una storica edizione della «Festa di Piedigrotta» di Viviani.

Nulla va tolto ai tanti artisti coinvolti in quest'edizione del quarantennale, ma il modello Valenzi non c'entra niente: quello era frutto del desiderio di rimettere Napoli al centro di una scena culturale che le spettava di diritto, del rivendicare gli spazi di socializzazione giovanile, di riflettere su radici e ali, ma anche su stereotipi e folklorismi, su napoletanità e napoletanismi.

Autarchica, con pochi soldi - mamma Regione davvero non ha voglia di spendere nel capoluogo di regione - e ancor meno idee, l'estate a Napoli 2019 guarda a Valenzi come al parente ricco (di soldi chissà, di idee e coraggio di sicuro). Certo, quello era l'unico, forse l'ultimo, gioco in città, oggi c'è la movida ad ogni angolo di quartiere, la colonna sonora neomelodica o trap o reggaeton che sia è garantita, i teatri hanno riaperto, c'è persino il Teatro Festival e grandi jazzisti spuntano dovunque, persino nei centri commerciali, come quello di Marcianise.

Ma in quelle sere non si offriva soltanto intrattenimento e un po' di compagnia ai napoletani (di turisti non parlava nemmeno l'Ente per il Turismo, non erano proprio anni), ma un modello di sviluppo della città. Oggi che, insieme ai napoletani, ci sarebbero anche i turisti - tanti, e giovani, e desiderosi di vedere, vivere, ascoltare, scoprire, napoletanizzarsi - ne servirebbe un altro, quello di Valenzi/Nicolini ha fatto il suo tempo, facendo intanto vivere meglio a noi il nostro tempo. L'estate dei lupi non sembra avere un progetto, assomiglia a una somma di cartelloni minori, cartelloncini, per così dire.

Ps. L'«Estate a Napoli» 1980 fu ancora più clamorosa, e divenne modello per le estati a venire: il 19 settembre 1981 Pino Daniele incantò i duecentomila di piazza del Plebiscito con il suo storico supergruppo, il 17 luglio 1982 i Rolling Stones conquistarono il San Paolo. I semi di Valenzi avevano attecchito, Napoli sognò il suo primo rinascimento, poi rimorì, poi risognò, poi... Oggi festeggiamo gli ottant'anni del maestro Mariano Rigillo con un applauso lungo uno spettacolo, ma, per favore, non azzardiamo paragoni con le estati di Valenzi.
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