«Caravaggio a Napoli, basta con i signori dei veti»

«Caravaggio a Napoli, basta con i signori dei veti»
di Aldo Balestra
Sabato 9 Marzo 2019, 12:00
5 Minuti di Lettura
«Inqualificabile. Anzi, grave. Molto grave». Il «no» ministeriale allo spostamento provvisorio del Caravaggio del Pio Monte presso il Museo di Capodimonte irrita e amareggia il professore Giuliano Volpe. Ha vissuto da protagonista, come presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali e Paesaggistici dal 2015 al 2018, la fase più effervescente della storia recente di gestione dell'immenso patrimonio culturale italiano. E questa storia delle Sette Opere di Misericordia «inamovibili», Napoli per Napoli, proprio non riesce a sopportarla.

Cosa è inqualificabile, professor Volpe?
«Il comportamento di chi getta discredito sulle scelte del sovrintendente e dei tecnici del Mibac che avevano studiato gli aspetti logistici e della sicurezza. O vogliamo credere che, insieme al direttore del museo di Capodimonte, Bellenger, non sia stato valutato in profondità ogni aspetto legato alla sicurezza del trasferimento dell'opera? Ma dico: scherziamo?».
 
Eppure lei fu tra quelli che disse di «no» al trasferimento dei Bronzi di Riace a Milano.
«Certo, e lo feci consapevolmente e responsabilmente. In quell'occasione ero nella Commissione che doveva decidere. E stabilimmo per il «no» perché gli esperti del restauro e la sovrintendenza calabrese erano tecnicamente per il «no». A Napoli siamo al paradosso inverso: i tecnici dicono di «sì», che si può fare, Napoli per Napoli, pochi chilometri di distanza e con tutte le accortezze possibili, e il direttore generale dice di «no». Ma non mi meraviglio».

Perché?
«Perché il direttore generale Famiglietti è noto per i suoi no».

Ma si è chiesto il motivo?
«Sì, e non c'è un motivo valido. Ho detto degli aspetti legati alla sicurezza. E la cornice è quella di un progetto culturale non pensato solo per far cassa: la mostra di Capodimonte risponde ad un'intuizione culturale tesa a valorizzare l'immenso, caratterizzante legame tra Caravaggio e la città di Napoli, dando l'opportunità a migliaia di persone di conoscerlo o conoscere meglio le sue opere. Quindi non riesco a trovare un motivo».

Come crede che sia maturata la decisione?
«Si è fatta prevalere l'idea unica di tutela, che consiste nel dire no e bloccare qualsiasi iniziativa. Ma la tutela del patrimonio culturale italiano non può limitarsi solo ai divieti, deve favorire la promozione della conoscenza. Perché non andiamo a rileggere l'articolo 9 della nostra Costituzione? Ci sono i concetti, oltre alla tutela, della promozione della cultura e della ricerca scientifica».

Napoli perde una grande occasione?
«Enorme, storica. E non solo per la mostra deprivata delle Sette Opere di Misericordia».

Cosa vuol dire?
«Sono preoccupato da un certo tipo di scelte e decisioni che mirano a screditare una persona di alto profilo come il direttore Bellenger, che ha ben operato, ha rilanciato un museo che a Napoli era importante e ora lo è di più. E penso analogamente al Mann. Direttori generali che hanno stabilito un rapporto vivo con la città, con i visitatori, sul profilo delle relazioni internazionali. Il sistema museale è sempre più diffuso e di territorio, a Napoli c'è un circuito virtuoso che si muove, penso a ciò che è stato possibile realizzare con le Catacombe di San Gennaro. Uno studio dell'Università Federico II ha censito nella sola Napoli più di 50 realtà impegnate nella gestione di beni culturali, con 260 addetti (oltre a più di 300 volontari e un centinaio di tirocinanti) con proventi di circa 8 milioni nel 2017. E i grandi musei vivono nei loro contesti urbani e associativi, non isolati da essi. A Napoli si guardava come modello. Mettere in crisi tutto ciò, una decisione dietro l'altra, è sbagliatissimo. Scelte scellerate».

Nella vicenda Caravaggio è intervenuto il ministro Bonisoli a sostenere il diniego al trasferimento.
«Mi meraviglio che il ministro Bonisoli, che continuo a considerare persona colta e aperta, abbia voluto far proprie queste posizioni retrive. Ma evidentemente l'attuale direttore generale Famiglietti decide tutto da solo, si sostituisce ai sovrintendenti in un sistema dai tratti monarchici. Si screditano le istituzioni locali, cambiando le decisioni prese, accreditando l'idea che le loro scelte possono essere ribaltate o cancellate il giorno dopo. Penso a Napoli, a Foggia, a Milano».

A Napoli si è mosso un mondo di storici e intellettuali a sostenere il «no» al trasferimento.
«Intellettuali pronti sui media a brandire, con la clava, le proprie verità assolute. Il professor Montanari appare sempre in prima linea quando si tratta di osteggiare qualsiasi forma di apertura nel campo del patrimonio culturale, considerato qualcosa di aristocratico e riservato a pochi. Stiamo portando indietro le lancette dell'orologio della fruizione culturale, coincisa con le direzioni affidate a grandi personalità, italiane e straniere. È gravissimo che s'affermino, anche in campo culturale, scelte dal sapore nazionalista e sovranista. Si fa un pessimo servizio agli istituti del ministero che a questo punto, legittimamente, potrebbero non valere nulla».

Il sovrintendente Garella è finito sotto un fuoco incrociato. Ricorda la vicenda grate al Plebiscito?
«E come potrei dimenticarla? Lo dico senza ironia, con grandissima amarezza: povero sovrintendente Garella, da oggi in poi consulti prima il direttore generale, gli chieda il permesso se non vuol correre il rischio di essere smentito il giorno dopo».

Addirittura.
«Purtroppo è così. Un brutto clima, a Napoli come in Italia. Giorni fa mi ha chiamato un giornalista americano. Mi ha chiesto: Si corre il rischio che non ci sia più spazio, in Italia, per le competenze culturali di direttori stranieri?. Mi auguro di no: fatto sta che meno stranieri hanno partecipato ai bandi per incarichi in Italia. Ma la cultura, è noto, non ha confini nazionali».

Torniamo al Caravaggio. Secondo lei la mostra a Capodimonte è ancora possibile con le «Sette Opere di Misericordia»?
«Che dirle, conosco il direttore generale, l'avvocato Famiglietti difficilmente cambia idea. Ma il ministro Bonisoli può mettere in campo autorevolezza e autorità. La storia del Caravaggio bloccato è incredibile, se non fosse terribilmente vera».
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