Addio a Lidia Curti, anglista e femminista: una vita nel segno degli sconfinamenti

Addio a Lidia Curti, anglista e femminista: una vita nel segno degli sconfinamenti
Addio a Lidia Curti, anglista e femminista: una vita nel segno degli sconfinamenti
di Donatella Trotta
Venerdì 23 Aprile 2021, 09:37 - Ultimo agg. 17:07
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È stata la voce dell'altra: vicina alle scritture femminili di ieri e di oggi, d'Occidente e d'Oriente, attenta a testimonianze di resistenza, e di sopravvivenza, oltre gli steccati degli stereotipi culturali che connotano (come ebbe a scrivere in sintonia con il marito Iain Chambers in La questione postcoloniale, Liguori 1996) cieli comuni, ma orizzonti ancora oggi divisi. E adesso che si è spenta, nella Napoli che l'ha consacrata tra i decani dell'anglistica e della critica femminista, Lidia Curti, classe 1932, professore onorario di Letteratura inglese a L'Orientale, docente-punto di riferimento, studiosa autorevole, saggista acuta e ricercatrice stimata per la sua prassi est/etica ed epistemologica rigorosa e inclusiva, lascia un vuoto immenso.

Testimoniato dai numerosi messaggi di cordoglio giunti, nella giornata di ieri, al suo compagno di vita, il britannico Iain Michael Chambers antropologo, sociologo ed esperto di studi culturali, docente di Studi culturali e postcoloniali all'Orientale che sul suo profilo social ha dato la notizia con due sole parole: «A life, a love/Una vita, un amore», seguite da versi tratti da «Astral weeks» di Van Morrison: «...

in the slipstream, between the viaducts of your dream» («nella scia, tra i viadotti del tuo sogno»).

Perché come nel suo volume La voce dell'altra, sulle scritture ibride tra femminismo e postcoloniale del 2006, ripubblicato da Meltemi nel 2018 in edizione rivista e ampliata, Lidia Curti ha fatto del sogno concreto degli sconfinamenti (tra generi, linguaggi, lingue, civiltà, mondi) uno stile di vita, un metodo di ricerca, una dimensione di (lungimirante) esplorazione esistenziale. Fondati su una critica aggiornata, lucida e originale del pensiero femminista contemporaneo e del dibattito sulle teorie degli studi sociali e culturali postcoloniali: basti solo pensare al suo saggio Female stories, female bodies. Narrative, identity and representations (MacMillan 1998), dove la studiosa già si poneva all'incrocio di nessi, innesti e capovolgimenti dei canoni nella rappresentazione estetica delle pratiche artistiche femminili.

Oppure, si pensi ad altri titoli preziosi della sua produzione, incline a indagare la letteratura diasporica femminile, le identità multiple della postmodernità e la migrazione (l'esilio, la fuga, il viaggio) nelle prassi interdisciplinari e multiculturali, accanto agli sviluppi teorici del pensiero contemporaneo della differenza: seguito, tra genealogie e contro-genealogie, in tutte le sue metamorfosi e ambiguità. Rientrano in quest'ottica La nuova Shahrazad. Donne e multiculturalismo (Liguori 2004); Schermi indiani, linguaggi planetari (Aracne 2008), Shakespeare in India (Editoria & Spettacolo 2010) e vari contributi di itinerari transculturali, di riflessioni su corpi, gender e genre, su Simone de Beauvoir (Il soggetto imprevisto, Mimesis 2016) o sulle «epiche» di esilio e di migrazione. «Soggetto nomade», Curti ha declinato il suo impegno intellettuale nel sociale, con la lungimiranza di uno sguardo (mite e profondo) di cui resta traccia nell'ultima ricerca del gruppo Femminismi futuri, da lei coordinata e pubblicata nell'omonimo libro di «Teorie. Poetiche. Fabulazioni» (Iacobelli 2019): scenari tra letteratura, scienza, arte e attivismo digitale che interpellano con domande tuttora aperte. 

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