Gli ottant'anni di Gennaro Manna: «Io e la casa della musica»

Gli ottant'anni di Gennaro Manna: «Io e la casa della musica»
di Federico Vacalebre
Mercoledì 23 Gennaio 2019, 11:00
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A casa sua - perché il Palapartenope è casa di Gennaro Manna, mentre per molti di noi, è stata scuola di musica e di vita - abbiamo visto Bob Dylan, Paul McCartney, i Cure, i Motorhead, i Rip Rig and Panic, James Taylor, Jackson Brown, Paco De Lucia, B. B. King, Jamiroquai, Jimmy Cliff, Elton John, Fabrizio De André, Liza Minelli, Joe Cocker, Lucio Dalla, Pat Metheny, Siouxsie and the Banshees, i Prefab Sprout, per l'ultima volta dopo tante ma tante volte, Pino Daniele. E a casa sua ci ha invitati lunedì sera per festeggiare i suoi 80 anni, che nessuno crede li abbia davvero, così vitale, così stakanovista, così presente ogni giorno sul fronte del palco.

«Ho iniziato per caso, facevo il calciatore con la Libertas Vomero, avevo un negozio di articoli da regalo e poi di arredamento, davvero non pensavo di occuparmi di musica, di spettacolo», ricorda Rino, mentre nel suo ufficetto organizza l'accoglienza per i prossimi spettacoli in cartellone: sabato c'è Calcutta, tanto per dirne una.

E come sei finito, allora, a portare la musica sotto una tenda, a dare a Napoli quello spazio per la musica che non c'era, che altrimenti non ci sarebbe stato?
«Tra le mie attività c'era occuparmi del complesso Kennedy, campi di calcio, ma non solo. Dal 19 al 21 giugno 1973 ospitammo il Be in, la nostra piccola risposta a Woodstock: c'erano Osanna, Garybaldi, Claudio Rocchi, Franco Battiato, Mauro Pelosi, Tito Schipa jr., Perigeo, Rovescio della Medaglia, Quella Vecchia Locanda, Cervello... il progressive rock dell'epoca. In qualche modo capii che quel mondo mi piaceva, che stare dietro le quinte mi permetteva di godere, e capire, diversamente le emozioni provocate dalla musica».
 
E così?
«Così quando mi invitarono ad entrare nella cooperativa del Teatro Tenda Partenope accettai, tutto iniziò a viale Augusto nel 1975, eravamo pionieri, circensi, sognatori come tutti i ragazzi di quel decennio. Poi mi offrirono di rilevare tutte le quote, e lo feci: 50 milioni di lire, da pagare un milione al mese, conservo ancora le cambiali».

Nel 1980 il trasferimento in via Barbagallo, dove la struttura sorge ancora, sia pur rimodernata, ingrandita, con la seconda sala per concerti meno importanti.
«È stata dura arrivare sin qui, il mio l'ho fatto ormai, senza il Palapartenope, con tutti i suoi limiti, con tutte le critiche che possono essere fatte, non avremmo visto da vicino, a Napoli, città che dovrebbe essere capitale della musica, Bob Dylan e Paul McCartney, e mi fermo a dire i loro nomi. Un tempo i concerti internazionali erano più numerosi, oggi da noi vengono soprattutto le star del pop nazionale, e alcune, le più grandi forse, hanno produzioni così grandi e costose che non possono entrare da noi, o che non riuscirebbero a recuperare le spese affrontate. Il mio sogno, non so se avrò il tempo e la forza di realizzarlo, è quello di ingrandirmi, avere le licenze per mettere in piedi una modernissima tensostruttura da 80.000 posti: la città la merita, i napoletani se la sognano, io più di tutti».

A chi devi dire grazie per questa storia in direzione ostinata e contraria?
«A Manuela, la mia compagna, a mio figlio Federico a cui ho intitolato la Casa della Musica, a chi ha lavorato sotto la tenda quando pioveva e tirava vento, quando i soldi non c'erano più, quando gli autoriduttori volevano entrare sfondando e senza pagare il biglietto... Ma, soprattutto, a quelli che sono cresciuti con noi, concerto dopo concerto, birra dopo birra, assolo dopo assolo».

A un certo punto eri emigrato a Montecarlo. Perché?
«La città mi sembrava violenta, ero vedovo e mi ero risposato, volevo fare crescere in modo tranquillo i miei figli. A Monaco importavo le eccellenze gastronomiche campane, anche se ancora non andava di moda chiamarle così. Avevo ingranato alla grande, guadagnavo molto bene, ma... avevo quasi abbandonato Palapartenope e complesso Kennedy, fino a scoprire paurosi buchi nel bilancio. Dovetti tornare, trovare nuove fonti di guadagno, mi salvarono le Poste scegliendomi come sede dei loro concorsi».

Amarcord?
«Certi concertini sotto la prima tenda, Dylan e McCartney l'ho già detto, e, poi, l'ultimo concerto napoletano di Pino Daniele, il 17 dicembre 2014: era diventata un'abitudine quella del suo concertone natalizio, brindammo con la superband e poi.... Ora festeggiamo il suo compeanno ed onomastico ogni 19 marzo».

Lunedì sera la festa, ci saranno vecchi e nuovi amici, artisti, politici, vip. Che cosa succederà?
«Non lo so, è una sorpresa, la mia famiglia mi ha tenuto all'oscuro di tutto. Però ho voluto che sugli inviti fosse chiaro che non voglio regali, organizzeremo una raccolta fondi il cui ammontare sarà totalmente devoluto a favore degli ospedali pediatrici Santobono-Pausilipon».

Dress code?
«Il vostro miglior sorriso, la gioia di vivere e la passione per la musica».
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