Raimondo di Sangro, 250 anni fa la morte del principe alchimista tra mistero e fake news

Raimondo di Sangro, 250 anni fa la morte del principe alchimista tra mistero e fake news
di Pietro Gargano
Lunedì 22 Marzo 2021, 09:00
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Due testimoni autorevoli per inquadrare la figura di Raimondo di Sangro (Torremaggiore, 30 gennaio 1710 Napoli, 22 marzo 1771), principe di Sansevero, in genere narrata con toni troppo impressionanti per essere veri. Benedetto Croce scrisse: «Per il popolino delle strade che attorniano la Cappella, il principe è l'incarnazione napoletana del dottor Faust che ha fatto il patto col diavolo, ed è divenuto un quasi diavolo esso stesso, per padroneggiare i più riposti segreti della natura». Fece eco Salvatore Di Giacomo: «Fiamme vaganti, luci infernali - diceva il popolo - passavano dietro i finestroni al pianterreno, nel vico Sansevero. Scomparivano le fiamme, si rifaceva il buio, ed ecco, romori sordi e prolungati suonavano là dentro: di volta in volta, nel silenzio della notte, s'udiva come il tintinnio d'un'incudine percossa da un martello pesante, o si scoteva e tremava il selciato del vicoletto come pel prossimo passaggio d'enormi carri invisibili».

Lo stesso scenario della vita del principe alchimista è magico, un triangolo esoterico dai lati tesi a unire la chiesa di San Domenico Maggiore, la Cappella Sansevero e la statua del dio Nilo. Qui passarono i sacerdoti egiziani. Di Sangro volle unire l'area della Vasca Sacra e del Tempio di Iside con i sotterranei sotto il tempio di casa.

 

A 250 anni esatti dalla morte, le leggende restano infinite.

Però qualcuna può essere smentita dai documenti nell'Archivio storico del Banco di Napoli. Ad esempio, il meraviglioso velo di marmo trasparente sul Cristo Velato non fu frutto di un sortilegio, lo attesta la cedola di pagamento: «13 febbraio 1754. A Giuseppe Sanmartino ducati 500 per la statua scolpita in marmo di Nostro Signore Gesù Cristo morto, ricoperto da una sindone di velo trasparente dello stesso Marmo, da detto Sanmartino lavorata di tutta soddisfazione». Né trova riscontro nelle storie dell'arte la favola nera dell'accecamento di Sanmartino, affinché egli «non eseguisse mai per altri così straordinaria scultura».

Anche la Rete del Disinganno, dedicata al padre Antonio, alimentò la bufala della marmorizzazione in trasparenza. In realtà l'artista rifinì a pomice la scultura poiché gli artigiani impegnati nella rifinitura, per paura di danneggiare le trame, si rifiutarono di toccare la delicatissima rete.

I prodigi sovrumani attribuiti al principe sono dovuti alla sua cultura, alla sua scienza, alla ricchezza che gli consentiva di disporre dei migliori strumenti del tempo. Nei sotterranei del palazzo di famiglia allestì un moderno laboratorio e una stamperia. Li pagò cari, «al capomastro Pompeo Serio per tutti li lavori di fabbrica, materiali ed altro fatti nel laboratorio e fonderia di cristalli e smalti», «ducati otto e dieci grana, prezzo convenuto di un alambicco». «A Nicolò Kommarek per lettere trentamila di carattere Sesto fra tondo e corsivo». Alchimia fondata sulla sapienza, il cammino lo aveva portato nell'Ordine Rosacrociano, perciò venne scomunicato da Papa Benedetto XII nel 1751.

Fu il talento a fargli inventare diverse macchine anatomiche, fra cui quella celebre dei «due servi fatti uccidere per imbalsamarne stranamente i corpi», mostrando con rara maestria il loro sistema venoso. Inoltre inventò una macchina idraulica capace di far salire l'acqua a qualsiasi altezza. Una lampada eterna (adoperò un preparato chimico che impediva alla fiamma di spegnersi). Una carrozza con cavalli di legno in grado di avanzare per terra e per mare (quasi un sottomarino). Una macchina tipografica capace di stampare vari colori e con una sola pressione del torchio.

Gli ultimi vent'anni di vita il principe li dedicò ad arricchire la Cappella. Volle lasciare un messaggio, ermetico e allegorico, massonico, in sintonia con l'alone di mistero che lo avvolse. Le stesse origini di quel tempio prezioso sono intrise di magia. Si racconta che un reo, avviato al carcere, passando là davanti fece un voto alla Madonna. In quell'istante cadde un muro, esponendo un quadro della Vergine. Poco dopo l'uomo venne scagionato come innocente. Oggi il quadro è sopra l'altare maggiore.

Si dice ancora che il principe abbia maledetto gli studenti di medicina. Chi di loro guarda il Cristo Velato non si laureerà mai. L'antidoto è andare nella Cappella il 3 ottobre, giorno del dio greco della medicina, Esculapio, tenendo in tasca il primo capitolo di Anatomia. Altre leggende narrano che il principe fece uccidere 7 cardinali e con le pelli e le ossa loro realizzò 7 sedie. E che la passione per il canto lo portò a comprare ragazzi di voce, a castrarli, a chiuderli in un conservatorio di Napoli e ad avviarli alla lirica.

Ancora Croce registrò l'ultimo mistero: «Quando sentì non lontana la morte, provvide a risorgere, e da uno schiavo moro si lasciò tagliare a pezzi e ben adattare in una cassa, donde sarebbe balzato fuori vivo e sano a tempo prefisso. Senonché la famiglia cercò la cassa, la scoperchiò prima del tempo, mentre i pezzi del corpo erano ancora in processo di saldatura, e il principe, come risvegliato nel sonno, fece per sollevarsi, ma ricadde subito, gettando un urlo di dannato».

Un'ultima notizia per liberarsi dall'alone di superstizione. Fino al luglio del 1770, otto mesi prima della fine, Di Sangro soffrì di ulcere alle mani, perse sangue dal naso e dalla bocca e forse pure dalle feci. I mali furono elencati dal suo medico personale, il palermitano Giuseppe Salerno, e stanno a indicare le conseguenze maligne degli esperimenti chimici. 

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