«Assolto, non è l'uomo del clan», ma il politico napoletano ha già scontato la pena

«Assolto, non è l'uomo del clan», ma il politico napoletano ha già scontato la pena
di Alessandro Napolitano
Domenica 1 Luglio 2018, 08:30
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QUARTO - Armando Chiaro non è un uomo del clan Polverino. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che ha assolto l'ex consigliere comunale dalla pesantissima accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. La sentenza arriva ad oltre sette anni dall'arresto del 42enne, finito in manette assieme ad altre 38 persone nel maggio del 2011. Il blitz dei carabinieri portò in carcere anche noti imprenditori considerati vicini all'organizzazione di Giuseppe Polverino - anch'egli destinatario di un'ordinanza di custodia cautelare, ma catturato l'anno dopo in Spagna e poi estradato in Italia - e lo stesso Chiaro. All'epoca era consigliere uscente, nonché coordinatore locale del Popolo delle Libertà. Di lì a poco si sarebbero svolte a Quarto le elezioni amministrative, ma in piena campagna elettorale arrivò l'operazione coordinata dalla Direzione distrettuale Antimafia. Nonostante la detenzione, Armando Chiaro riuscì ad ottenere ben 385 preferenze, risultando ipoteticamente rieletto. Poco dopo, però, arrivò per lui lo stop della Prefettura al nuovo ingresso in consiglio comunale.
 
Secondo i pm, Chiaro avrebbe fatto da anello di congiunzione tra il clan Polverino e la macchina comunale. Inoltre, si sarebbe intestata un'abitazione a Coma Ruga, sempre in Spagna, considerata però nella disponibilità di Giuseppe Polverino. Contro l'ex consigliere comunale anche le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. In primo grado arrivò una condanna a sette anni, poi ridotta di sei mesi in Appello. Dopo un primo periodo di detenzione in carcere, Chiaro ottenne gli arresti domiciliari e successivamente un divieto di soggiorno in Campania. Dopo aver scontato per intero la pena, è poi arrivata la decisione della Cassazione: assolto per non aver commesso il fatto. I suoi legali - gli avvocati Giovanni Vignola e Claudio Botti - sono riusciti a ribaltare l'intero impianto accusatorio, sottolineando come l'ex politico non avesse mai ricevuto vantaggi per la sua presunta appartenenza al clan. Smontate anche le dichiarazioni dei pentiti che non avrebbero trovato conferme. Nell'assolvere Armando Chiaro, i giudici della Cassazione hanno anche revocato l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, nonché la confisca della sua azienda di famiglia. Chiaro, dunque, potrà anche richiedere la riparazione per ingiusta detenzione, ma si dovrà attendere che il dispositivo passi in giudicato. Le motivazioni saranno rese note tra 90 giorni.

Intanto, le conseguenze di quella inchiesta che incisero sulla politica locale, furono pesantissime. Due anni dopo il blitz dei carabinieri e le ulteriori indagini della commissione di accesso, il consiglio comunale venne sciolto per infiltrazioni della criminalità organizzata: fu il secondo provvedimento del genere dopo quello analogo del 1992. Alle elezioni del 2015, poi, altre nuvole si addensarono sulle consultazioni. Ad indagare ancora una volta l'Antimafia di Napoli, su un presunto voto di scambio che vedrebbe gli interessi del clan Polverino sull'esito delle urne. Pochi giorni, fa i pm Henry John Woodcock e Maria Di Mauro hanno inviato 25 avvisi di conclusione delle indagini ad altrettanti indagati. Tra questi un altro ex consigliere comunale, Giovanni De Robbio, eletto tre anni fa tra le fila del Movimento 5 Stelle con 855 voti. Secondo i magistrati, dietro quel successo elettorale ci sarebbe stata la regia della malavita organizzata. L'ex sindaco Rosa Capuozzo è parte lesa in quel procedimento: sarebbe stata ricattata attraverso una foto aerea del sottotetto della sua abitazione, ritenuto abusivo. A mostrargliela, sempre secondo i pubblici ministeri, lo stesso De Robbio. Elezioni da sempre «attenzionate» quelle svolte nella cittadina flegrea, stretta non solo tra le grinfie del clan Polverino, ma anche da quello dei Longobardi-Beneduce, attraverso l'ala quartese conosciuta come «quelli del Bivio». Anche la campagna elettorale del 2007 vide l'apertura di un'altra inchiesta per voto di scambio. Terminò nel 2014 con un processo che vedeva alla sbarra ben 101 imputati. In 58 vennero assolti, tra cui tutti i «big» della politica. Gli altri furono condannati con pene dagli otto mesi a un anno e dieci mesi.
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