Bassolino e il governo M5S-Pd: «Un accordo di qualità o subito al voto, il Sud sarà il banco di prova»

Bassolino e il governo M5S-Pd: «Un accordo di qualità o subito al voto, il Sud sarà il banco di prova»
di Generoso Picone
Venerdì 23 Agosto 2019, 18:00
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«Questo è il momento delle scelte di qualità, non degli accordi al ribasso. Se non ci sono le condizioni per realizzarle, allora la strada appare segnata: si torni al voto, si indichino in tempi brevi nuove elezioni e si dia la parola ai cittadini. Non se ne può avere paura». Sarà per il vantaggio di chi da lontano riesce a veder meglio quanto accade, trovandosi per giunta sufficientemente distante dalle trame da corridoio e dai chiacchiericci da retroscena di Palazzo, ma c'è una particolare sintonia tra le riflessioni compiute da Antonio Bassolino, nelle lunghe passeggiate a cui si consegna lungo le sue Dolomiti, e le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al termine del primo ciclo di consultazioni dopo l'apertura della crisi di governo.

«Un passaggio estremamente delicato», commenta con malcelata preoccupazione l'ex sindaco di Napoli, già presidente della giunta regionale della Campania, deputato e ministro dall'esperienza politica di lunghissimo corso dal Pci al Pd. «Perché in poche settimane lo scenario si è ribaltato e oggi nulla è più come prima. In fondo, è il bello della politica: tutto può cambiare, non c'è immutabilità».
 

Appunto, Bassolino. Lei l'altra sera ha pubblicato un post sulla sua pagina facebook in cui afferma che «in politica è come in montagna. Se si sale troppo in fretta e senza adeguata preparazione poi gira la testa, si è come inebetiti e si perde il contatto con la realtà». Con chi ce l'aveva?
«In primo luogo con Matteo Salvini. Ha compiuto un doppio passo falso che ha posto la Lega in una condizione di difficoltà impensabile fino a qualche settimana fa. È giusto riconoscere il merito principale di aver ottenuto il 34 per cento alle elezioni europee, culmine di un'ascesa senza precedenti per una forza che alle politiche del 2013 contava appena il 4 per cento. Ma si è poi trovato al bivio del che fare: continuare a succhiare consensi al M5S dalla posizione di privilegio del Viminale o capitalizzare il consenso chiedendo il ricorso le urne subito? Il dubbio lo ha portato ad aprire una crisi alla vigilia di Ferragosto, ritirando poi la mozione di sfiducia al governo mentre al Senato era in corso la discussione sulle dichiarazioni del premier Giuseppe Conte. Così, da personaggio che aveva fatto della sicurezza il suo principale trampolino di lancio, si è ritrovato a essere il simbolo dell'incertezza, come le inclementi immagini televisive hanno mostrato. In politica i tempi sono sempre determinanti, se la Lega avesse fatto dimettere i suoi ministri un mese prima, la situazione sarebbe stata diversa e Salvini avrebbe una posizione di forza».

Invece?
«Invece ora siamo dentro a un passaggio estremamente delicato. Io ho assoluta fiducia nei confronti del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Fiducia confermata e rafforzata dalle sue dichiarazioni espresse dopo il primo giro di consultazioni».

Però sta anche e soprattutto alle forze politiche fornire gli elementi perché ciò avvenga.
«Bisognerà agire perché si verifichi una svolta che sia vera. Altrimenti i cittadini non capirebbero».

La svolta potrebbe essere costituita davvero da un accordo tra Pd e M5S?
«Guardi, voglio dire subito che Nicola Zingaretti sta lavorando con intelligenza e serietà e aver portato all'unanimità sulle sue posizioni la direzione del Pd rappresenta un dato decisamente positivo. Porrei poi due questioni. Una di merito: un'eventuale intesa tra Pd e M5S non può non definirsi che nel segno della discontinuità rispetto all'attività del governo Conte. Altrimenti non si potrà spiegare perché forze che fino a ieri si sono combattute oggi si alleano. L'altra riguarda i tempi: ha ragione Romano Prodi ad affermare che ci sarebbe bisogno di un periodo lungo e di un doppio congresso o quantomeno di una discussione congressuale all'interno di Pd e M5S. Senza una responsabile riflessione critica e autocritica è difficile che si arrivi a un sufficiente livello di consapevolezza».

Si tratta di due opzioni che richiederebbero una fase più articolata di quella che si ha di fronte.
«Ma è una sfida da raccogliere, impegnativa e dura, per provare a costruire una prospettiva di fiducia e di speranza per l'Italia intera. Prima si dovrà verificare se dentro il Pd e il M5S si muova qualcosa. Il tavolo su cui avviare la verifica mi pare obbligato».

Quale?
«La questione Mezzogiorno. Nelle scelte dell'esecutivo M5S-Lega il tema del Sud era scomparso, ma è di vitale importanza porlo al centro di un ampio e articolato programma di sviluppo economico nazionale collocato in una visione europea. Per fare ciò occorre rivedere pure il progetto di regionalismo differenziato che rischia di riproporre condizioni di divisione tra Meridione e Settentrione. Ecco, questa è un primo e prioritario banco di prova di possibili alleanze di qualità».

Altrimenti?
«Altrimenti non si abbia paura del voto. Andare a nuove elezioni non è un ripiego, ma una scelta inevitabile in presenza di operazioni di piccolo cabotaggio. L'importante è agire con serietà, consapevolezza, responsabilità e capacità di spiegare ai cittadini l'entità dei problemi».

Ma non le fa paura un voto anticipato in un quadro di pesante difficoltà dei conti pubblici?
«Sia un governo di svolta sia i giusti tempi di eventuali elezioni devono tenere in prioritaria considerazione i conti pubblici. È anche bene riflettere sulle esperienze passate, come quella del 2011 quando al governo di Silvio Berlusconi subentrò l'altro guidato da Mario Monti».

Il governo dei tecnici o dei professori che tanti contestano ancora oggi?
«Sì. Allora espressi l'opinione che era meglio andare subito al voto, come fece la Spagna del resto, trovandosi in una condizione molto simile all'italiana. È infatti indubbio che il mancato passaggio elettorale sia diventato una delle ragioni dell'affermazione delle forze populiste».
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