La vera identità che serve a Napoli

di Mauro Calise
Venerdì 21 Dicembre 2018, 08:00
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Ha ragione Francesco de Core quando scrive, su questo giornale, che l'identità di Napoli è forte. Al punto che rischia di oscurare, risucchiarsi tutto il resto. Che poi sarebbe ciò che veramente conta. Le buche che i cittadini non i turisti maledicono, il lavoro che ce n'è sempre meno, l'amministrazione che è in cavalleria, e quel senso di indifferenza civica che scaturisce dalla sensazione che domani «sarà sempre lo stesso giorno». Un giorno di iperidentità, e sotto il vestito niente. Però, per evitare di finire nel solito stereotipo nonsipuotista l'anatema di Genovesi che il migliore Bassolino prese a simbolo in quella straordinaria stagione di cambiamento conviene fermarsi a riflettere sull'altro corno della medaglia identitaria, quella comunità «debole, frantumata se non dissolta» che sarebbe la vera pietra al collo della città. E il modo migliore per farlo, è di sbarazzarci del concetto.

Non esistono, al giorno d'oggi, comunità forti. Le comunità nel senso canonico codificato dalla grande sociologia, da Tonnies in poi sono state sostituite, come principio di aggregazione, dalla società, nelle sue varie articolazioni. Il problema storico di Napoli è proprio qui. Nel ritardo con cui ha registrato, ed affrontato, questo cambiamento. Resta ancora oggi esemplare il libro con cui Percy Allum ormai quasi mezzo secolo fa fotografò questo iato. Una città rimasta prigioniera dei suoi eccessi comunitari familistici, clientelari e anche, in una certa misura, identitari e incapace di salire sul treno della modernizzazione societaria. Quando Allum scriveva queste pagine, a Napoli c'era ancora l'Italsider, la zona-est non era diventata quel deserto di archeologia industriale che oggi assedia le periferie.

C'erano alcuni snodi importanti di politica nazionale: l'Isveimer, il Banco di Napoli, la Cassa per il Mezzogiorno non era del tutto defunta. Insomma, la battaglia per la società a Napoli era ancora aperta. Oggi, quella battaglia è persa. 
Ma a rendere quel vuoto più evidente e pesante è sopraggiunto paradossalmente - il deteriorarsi del tessuto comunitario. Per fortuna, è forse il caso di dire. 

I legami comunitari che tenevano nel bene e nel male insieme la città sono stati profondamente erosi dai nuovi germi della post-modernità. Narcotraffico senza volto umano, politica via internet usa-e-getta, e, più in generale, quel processo di individualizzazione cybercentrica che da una decina d'anni sta mutando geneticamente il tessuto relazionale novecentesco. A New York come a Dubai, a Milano come a Torino. E anche a Napoli. Le grandi metropoli riescono a difendersi da questo virus disgregatore con le loro risorse societarie, accumulate e rivitalizzate se e quando gestite bene. A Napoli l'unica risorsa al momento sembrerebbe essere l'identità. Molto software si potrebbe dire e poco hardware. Però. Proprio per la forza di attrazione e rigenerazione che questo asset ha dimostrato nel tempo, starei attento a liquidarlo come una «recita oleografica», o un semplice «storytelling di ritorno». In quella che resta l'analisi più lucida dell'esperienza di Bassolino, un libro per Cambridge University Press, Eleonora Pasotti ci ricorda che «Political Branding in Cities» è stata la strategia vincente contro la corruzione e il degrado in città diversissime come Napoli, Bogotà e Chicago. Tutto sta a intendersi sui contenuti del brand, e sul modo con cui possono impattare sull'ecosistema cittadino. Ed è qui che si può provare a guardare la cosiddetta bottiglia mezzo piena. Senza illudersi di potere emulare i fasti della Silicon Valley, si stanno ripetendo in un circolo sempre più virtuoso i segnali di un protagonismo di Napoli sul fronte strategico dell'innovazione tecnologica. Si tratta di segnali ancora timidi. Ma la notizia che Città della Scienza potrà finalmente rinascere anche grazie al suo ruolo come hub del Competence Center di Industria 4.0 consolida altri passi importanti in questa stessa direzione. Dalla Apple Academy nel campus universitario della Federico II a San Giovanni a Teduccio, che ha gemmato iniziative analoghe di Cisco e Deloitte con molte altre nel pipeline, al ruolo guida della sede di Accenture con oltre mille ingegneri impegnati sulla frontiera della innovazione industriale. Sino alla leadership di federica.eu, la principale piattaforma europea di corsi universitari online di eccellenza completamente gratuiti. 

Siamo ancora lontani da una nuova identità che capovolga quella così coriacea e fascinosa di «vedi Napoli e poi muori», col suo mix micidiale di bellezza mozzafiato e gangsterismo a canna mozza. Ma, forse, non ne abbiamo bisogno. La cartolina oleografica di Napoli può pure continuare ad attrarre il mare di turisti i cui quattrini aiutano a bagnare la città. Nel frattempo, facciamo in modo che cresca, e il più rapidamente possibile, la Napoli che produce conoscenza e formazione di qualità in sinergia con i nuovi circuiti della Rete. È una Napoli senza frontiere, che può aiutare molto i nostri giovani a tornare a innamorarsi del futuro. In fondo, la vera identità appartiene a loro.
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