La necessaria controriforma nella città Stato

di Adolfo Scotto di Luzio
Domenica 19 Maggio 2019, 09:00
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Più la crisi napoletana si approfondisce, più un attore domina solitario la scena. È la Chiesa cattolica. Più lo Stato e la politica, come espressione di un progetto razionale di trasformazione del mondo e come principio di ordine civile, arretrano sul terreno della disgregazione meridionale, più la fede si offre non solo come soccorso spirituale ad una società impaurita e disorientata ma come vero e proprio principio di direzione intellettuale.

Ci sono degli eventi nella vita di una comunità che hanno il compito di segnare con la potenza del simbolo i giorni degli uomini. È il caso del ferimento della bambina a piazza Nazionale, caduta sotto i colpi feroci di un agguato camorristico. Al capezzale di Noemi si sono avvicendati nelle scorse settimane due tipi di potere, quello laico della politica, privo ormai di qualsiasi residuo di legittimità (se non per la figura al di sopra delle parti del presidente della Repubblica, egli stesso cattolico) e, appunto, la Chiesa, nella persona del suo rappresentante territoriale, il cardinale Crescenzio Sepe. Il quale non ha perso tempo, impossessandosi subito della vicenda della piccola Noemi, ricondotta con sicurezza ad una comprensione provvidenzialistica dell'accadimento. Alla fortuna si oppone il miracolo, e gli stessi medici vengono fatti operare nel quadro di una visione trascendente dell'esistenza. Il piccolo corpo sofferente di una bambina è una figura della pietà e nel dolore della madre evoca e fa affluire dalla memoria del popolo la tenerezza e l'amore di Dio nel volto di Maria.

La Chiesa occupa il posto che da sempre rivendica, quello di presidio della salute spirituale della comunità, ergendosi a sua difesa contro il dilagare della violenza. Non è solo il linguaggio della fede, ma siccome il linguaggio opera, è un modo, e potentissimo, di mettere in forma l'esperienza comunitaria. Il fatto è che la Chiesa costruisce il soggetto popolare in uno spazio della vita associata in cui ogni progetto alternativo è venuto meno. La pace di Dio serviva in un mondo insicuro a dotare di immunità alcune figure speciali, i chierici, i pellegrini.

Oggi a Napoli i medici rischiano seriamente la vita sotto i colpi dei rappresentanti della frammentazione neofeudale dell'ordine civile. 

All'Ospedale dei Pellegrini lo Stato si è ritirato da tempo, abbandonando il suo avamposto di polizia e nessuno più protegge laicamente la vita dei medici. Che cosa deve fare una città in queste condizioni? La tregua che impone la Chiesa è un baluardo fragile ma sullo sfondo di uno scenario sociale di tipo potenzialmente sudamericano, come è quello che si sta delineando in questi mesi a Napoli, è pur sempre qualcosa. Non deve essere sottovalutata a questo proposito, la breve intervista rilasciata a questo giornale, lo scorso venerdì, dal gesuita padre Di Luccio, decano della Pontificia facoltà teologica dell'Italia meridionale, sezione San Luigi, a proposito della visita a Napoli di Bergoglio il prossimo 21 di giugno. Non va sottovalutata, dicevo, perché nel vuoto spaventoso di insensatezza politica che in questi anni si è venuto scavando, a Napoli e non solo, pretende di offrire una via di uscita. Un principio di riorganizzazione culturale e dunque una prospettiva di direzione politico-intellettuale, un tempo si sarebbe detto egemonia, dei poveri, vale a dire del soggetto costitutivo della vita associata in forma politica: fare di Napoli il laboratorio ideologico di quella teologia del popolo che rappresenta la piattaforma del pontificato latinoamericano di Bergoglio e che nell'antica capitale del mezzogiorno continentale dovrebbe assumere i modi di una teologia del Mediterraneo. 

Varianti a parte, il tema cruciale è appunto il popolo: sollecitare, promuovere, curare l'espressione di una spiritualità che scaturisce direttamente dalla memoria del popolo e che fa del popolo, per come è, il fondamento della comunità, che nel dispetto cattolico per tutto ciò che sa di illuminismo, soppianta radicalmente la polis. Nel lontano 2012, quando era ancora arcivescovo di Buenos Aires, il futuro Papa tenne un discorso, Nei poveri il senso trascendente della vita, di cui ampi stralci sono stati pubblicati nel 2015 dal quotidiano Avvenire. Ci perseguita, disse allora Bergoglio, il fantasma dell'illuminismo, un riduzionismo ideologico-nominalista, che non rispetta la realtà concreta, mentre Dio ha voluto parlarci tramite realtà concrete. 

Quali sono le implicazioni pratiche di queste posizioni? Chi forma, ad esempio, il popolo? La scuola, la scuola italiana, sorta con lo Stato nazionale unitario, fu concepita all'inizio del Novecento, nel quadro dell'idealismo tanto inviso a padre Gemelli e all'inquisizione romana, come riforma religiosa a direzione laica della classi popolari. E tutto il senso dell'opera storica di Benedetto Croce può essere intesa come critica e dunque superamento del fondamento della cultura popolare sul terreno di una vecchia concezione del mondo di tipo teologico-religioso. Un obiettivo da perseguire con prudenza e cautela certo, ma anche con determinazione. Ricollocare le classi popolare sul fondamento di una cultura rinnovata, moderna. Sulla base di questi presupposti è stata concepita tutta l'impalcatura dell'inserzione del mezzogiorno nel quadro della cultura nazionale italiana. È stata ripensata l'alta cultura meridionale, attraverso la riforma desanctisiana dell'Università di Napoli, ed è stato ripensato il marxismo italiano nei modi della riflessione gramsciana, che come è noto alla questione meridionale annetteva una centralità strategica. 

Su queste basi intellettuali sono stati concepiti tanto la modernizzazione delle basi produttive dell'economia meridionale quanto lo sforzo di alfabetizzazione di massa dei suoi strati popolari subalterni rurali e urbani. Oggi tutto questo sembra essersi dileguato, privo di organi attivi nella vita pratica. Riviste, cattedre universitarie, partiti, non è rimasto più niente. È soprattutto su queste dimensioni che si misura la crisi di una città.
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