Anm, perché la privatizzazione resta l'unica via di uscita

di ​Gerardo Ausiello
Lunedì 20 Novembre 2017, 22:37
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Il mondo è cambiato ma qualcuno, all’Anm, non se n’è accorto, o finge di non saperlo. Il riferimento è ai sindacati dell’azienda di trasporto pubblico, che ieri hanno pronunciato l’ennesimo no, stavolta sul nodo della vendita dei biglietti a bordo dei bus. In molti Paesi del mondo, specie quelli anglosassoni, gli autisti non guidano solo ma hanno tra i loro compiti appunto di staccare i ticket e controllare che tutti i passeggeri siano in regola. Qui no. Qui questa naturale operazione dev’essere oggetto di una infinita trattativa, un braccio di ferro anacronistico e intollerabile. Soprattutto perché, mentre ai tavoli sindacali si litiga o si prende (irresponsabilmente) tempo, alle fermate i cittadini sono costretti ad estenuanti attese. In Giappone qualche giorno fa una compagnia ferroviaria ha chiesto scusa agli utenti per un treno partito con venti secondi d’anticipo. Dalle nostre parti, invece, i ritardi quasi non fanno più notizia: l’indignazione sta lasciando pericolosamente posto all’assuefazione. In questo contesto drammatico, di sconfitta della politica e di fallimento di un modello gestionale che aveva suscitato grandi aspettative e che dunque genera profonda delusione, si assiste al disperato tentativo dell’azienda di trasporto cittadina di salvarsi dal baratro, verso il quale - sia chiaro - è stata spinta da sprechi, furberie e inefficienze. La situazione è drammatica e i sindacati cosa fanno? Si trincerano dietro un corporativismo surreale, opponendosi a misure strategiche, certamente tardive ma utili: la lotta all’evasione attraverso il coinvolgimento degli autisti, il potenziamento dei controllori a bordo reclutando il personale da uffici troppo affollati, la riduzione dei superminimi d’oro ai dirigenti, la messa a reddito di depositi e parcheggi. Il piano per salvare l’azienda dal crac è stato firmato dai sindacati un mese fa, ma non è ancora operativo perché le stesse sigle hanno chiesto di congelare ogni intervento finché non si farà chiarezza sull’ipotesi di privatizzazione di alcune linee (l’azienda è tuttavia pronta ad andare avanti, con o senza accordo).
ià, quella privatizzazione che il sindaco de Magistris ha sempre escluso a priori, e che ora potrebbe essere l’unica àncora di salvezza di una società vicina alla bancarotta. È la stessa Anm a certificarlo, in uno studio che mette a confronto l’azienda napoletana con le omologhe di Roma e Milano e da cui emerge una fotografia impietosa, già descritta su queste colonne da Oscar Giannino: all’Anm spetta la maglia nera per costo e produttività del personale. Basterebbe questo dato a far comprendere che per cambiare le cose occorre una rivoluzione copernicana, rispetto alla quale il sindacato non può chiamarsi fuori. Se si vuole tutelare davvero l’interesse pubblico, non si può ignorare il più pubblico di tutti gli interessi, quello degli utenti, già compromesso da una malagestione che ha negli anni tagliato le corse, allungato i tempi di percorrenza e di fatto azzerato la qualità. E allora fare l’interesse pubblico significa perseguire un efficientamento che può passare anche per la gestione dei privati, sotto la pianificazione e il controllo del pubblico potere.


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