Camaldoli, confische e incuria:
così muore il Casale sequestrato

Camaldoli, confische e incuria: così muore il Casale sequestrato
di Giuseppe Crimaldi
Domenica 18 Agosto 2019, 00:00
3 Minuti di Lettura

Dei prati fioriti, dei viali circondati da piante esotiche, del patio e del solarium non restano più tracce. La grande fontana a forma di conchiglia che versava cascate di acqua direttamente in piscina è solo una crosta arrugginita. E all’interno è anche peggio: vandalizzate le cucine, razziati gli arredi delle camere, diventate meta - nonostante i sigilli più volte violati - di bivacchi notturni per balordi e tossicodipendenti. Trafugato dai predoni del rame persino l’intero impianto elettrico. Tutto quello che poteva far gola (dagli arredi in ceramica vietrese ai marmi dei pavimenti, ai pezzi pregiati di hotellerie del ristorante) è sparito. Quel che resta del “Casale da Padeira”, residence con annesso wellness center nel cuore della collina dei Camaldoli, è un quadro di desolazione e degrado. Ecco che fine ha fatto un bene confiscato dallo Stato e affidato al Comune di Napoli. Vicenda emblematica che dimostra come troppo spesso la destinazione d’uso di beni anche di notevole valore economico resti lettera morta. 

Ecco quel che resta oggi del “Casale”: bene confiscato per abusi edilizi e mai effettivamente “amministrato” dal Comune di Napoli, al quale pure era stato affidato, con tanto di nomina di un custode giudiziario. Vicenda emblematica, questa, che spiega come si riesca a far cadere a pezzi un bene di pregio, destinandolo magari a pubblica utilità. Trentasette denunce per furto: ma nemmeno quelle sembrano essere servite a risvegliare dal sonno profondo chi, da Palazzo San Giacomo, era chiamato a vigilare ed evitare questo scempio. Insomma, chi era tenuto non solo a sorvegliare, ma anche a immaginare una destinazione di utilità sociale di un bene che si estende per 53mila metri quadrati, si è sfilato dai doveri d’ufficio. Questa è la realtà.

La vicenda giudiziaria che porterà a una sentenza di primo grado di condanna per il titolare della struttura, l’imprenditore Crescenzo Polverino, inizia sette anni fa con il sequestro preventivo ordinato dalla Procura (indagine del sostituto Lucio Giugliano coordinata dall’aggiunto Nunzio Fragliasso). La mattina del 28 novembre 2012 vengono apposti i sigilli alla tenuta sulla collina dei Camaldoli che offre una vista mozzafiato sui Campi Flegrei e sull’isola d’Ischia. Tre piscine, un centro benessere, un resort con una decina di suites e persino un panificio (già abbattuto) - questo sostiene la Procura - sarebbero state realizzate senza alcuna licenza edilizia; e, per di più, in un’area «a protezione integrale», sulla quale cioè gravano vincoli architettonici e paesaggistici. Il cinque ottobre 2018 il giudice monocratico Stefania Daniele ha disposto con sentenza la confisca del “Casale da Padeira”, condannando Crescenzo Polverino (il quale, sottolineano i suoi avvocati, «non ha alcun collegamento con l’omonimo clan camorristico di Marano») al versamento di una provvisionale di oltre 100mila euro. Ora si attende l’appello: e nei motivi del ricorso i difensori di Polverino evidenziano come - proprio in queste ore - in un terreno confinante con quello del “Casale” lo stesso Comune di Napoli abbia concesso licenze edilizie destinate ad uso abitativo privato per un rudere nel quale realizzare quattro appartamenti.

In attesa del secondo grado restano però tanti dubbi e un interrogativo: perché si lascia all’incuria del tempo, di vandali e predoni un bene che potrebbe essere usato per pubblica utilità, magari affidandolo ad una cooperativa di giovani volenterosi? In quella struttura - particolare non trascurabile - lavoravano 40 persone. E dunque: quante opportunità occupazionali si sarebbero potute creare sfruttando quel bene? E chi ripristinerà mai - ammesso sia possibile - lo stato dei luoghi? L’intero complesso versa in uno stato pietoso. I lavori di realizzazione del “Casale da Padeira” iniziarono nel lontano 1982, proseguirono con la realizzazione di integrazioni edilizie nel 1996 per completarsi - sei anni dopo - con opere di urbanizzazione (impianti fognari, sottoservizi elettrici ed accessi alla strada, tutti concessi dal Comune di Napoli). Si è proceduto poi anche all’abbattimento, che ha interessato però solo una minima parte del complesso: l’area è quella interessata da una particella dell’immobile destinato ad un panificio di 250 metri quadri, a una mansarda e ad un appartamento.
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