Annunci, dietrofront e veti: così la scuola non riparte

Annunci, dietrofront e veti: così la scuola non riparte
di Gigi Di Fiore
Domenica 10 Gennaio 2021, 00:00 - Ultimo agg. 08:00
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Una delle grandi assenti dei dieci mesi di emergenza Covid in Italia è stata la scuola. Promesse, annunci, ipotesi di intervento, ma il ritorno nelle aule, tranne una breve parentesi, è stata solo un’illusione. E trionfano, tra difficoltà e limiti, le lezioni a distanza, con tanto di compiti e interrogazioni online. 

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È Lucia Azzolina, ministro pentastellata all’Istruzione, a detenere il record degli annunci. È lei a promettere date per il ritorno in classe. L’ultima dichiarazione, appena un mese fa, quando era sicura che le lezioni a distanza sarebbero terminate ovunque il sette gennaio. E invece non è stato così, anche se agli annunci si era unito il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, affermando: «Lavoriamo per far tornare in classe i ragazzi nel più breve tempo possibile. Dopo le elementari e medie, dobbiamo fare di tutto per far tornare nella normalità le superiori».

Il 24 novembre scorso, la certezza era stata annunciata anche dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte: «Tutti a scuola prima di Natale, stiamo lavorando per questo». E a lui si era unito il presidente del Comitato tecnico scientifico, Agostino Miozzo: «Le scuole devono restare aperte.

Si rischia che generazioni di liceali andranno all’esame perdendo il contatto fisico con l’universo scolastico».

Annunci, intenzioni, che hanno dovuto però fare i conti con i dati sulla diffusione dei contagi, ma soprattutto con i timori e le ordinanze delle Regioni.

Il più colorito come sempre è stato il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca: «La Azzolina ripete come un pappagallo che si devono tenere aperte le scuole, mentre il governo sottovaluta l’epidemia». Era la fine di ottobre, De Luca aveva firmato l’ordinanza che sospendeva le lezioni in presenza in tutta la Campania. 

Nelle ultime ore, a smentire gli annunci del governo sono stati ben 14 presidenti di Regione. Niente ritorno a scuola lunedì prossimo, ma slittamenti quasi ovunque. Rientro fissato per il primo febbraio in Calabria, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche, Calabria; il 25 gennaio in Campania, Emilia Romagna e Lombardia; il 23 in Umbria e il 18 gennaio nel Lazio, in Molise, in Liguria e in Piemonte. La Puglia stabilisce il 15 gennaio e solo la Toscana sembra ancora possibilista sul ritorno lunedì prossimo. Ma si naviga a vista, con la Sicilia che decide la sospensione delle lezioni fino al 30 gennaio. Eppure le promesse erano parte anche del Dpcm del governo.

Il 4 dicembre, il governo aveva annunciato la ripresa delle lezioni in presenza e, ancora una volta, il ministro Lucia Azzolina aveva dichiarato: «Non si può immaginare le strade affollate di pomeriggio e le scuole deserte al mattino». Ma il nodo trasporti pubblici, dove gli affollamenti nelle ore di punta sono un allarme continuo, non aiuta il ritorno in aula dei circa 4 milioni di studenti costretti in Italia alle lezioni a distanza. Ancora annunci e ipotesi: obbligo di ridurre della metà i passeggeri consentiti su autobus, tram e metropolitane, con la promessa di intensificare le corse e ricorrere all’aiuto di bus privati. Ma il presidente dell’Emilia Romagna, che guida anche la Conferenza delle Regioni, Emilio Bonaccini, aveva subito fatto capire che «nelle ore di punta si fatica a gestire e controllare i limiti imposti di capienza dei mezzi pubblici». Tante le soluzioni proposte: alternare gli orari di ingresso a scuola, prevedere più turni di frequenza. 

Sui trasporti, nel Dpcm natalizio il governo aveva istituito in ogni Prefettura una conferenza provinciale per coordinare gli orari delle lezioni a scuola con quelli dei trasporti pubblici. Un’idea che avrebbe dovuto consentire il ritorno in classe per il 7 gennaio con un 75 per cento di studenti in presenza. Hanno fatto prima i presidenti delle Regioni con le ordinanze di rinvio della riapertura delle scuole, vanificando anche l’impegno del ministro ai Trasporti, Paola De Micheli: «Le 144 aziende di trasporto pubblico locale dovranno rispettare la capienza ridotta».

Scettico da subito il presidente dell’associazione nazionale presidi, Antonio Giannelli: «Credo che per riorganizzare il sistema dei trasporti occorrano due mesi. A scuola si deve tornare per un periodo continuativo, altrimenti è una perdita di tempo».

E sembrano un libro dei sogni le 23 pagine del Comitato tecnico scientifico che prevedevano, per la riapertura delle scuole, la riduzione del numero di studenti per classe, banchi singoli particolari, barriere di plexiglas in aula. Con l’annuncio, stavolta del commissario straordinario Domenico Arcuri: «Ci saranno due milioni e 400mila euro per i banchi monoposto, alcuni con le rotelle, per consentire la ripresa delle lezioni». E in estate, 900 milioni sono stati stanziati dal governo per rafforzare il trasporto pubblico, aggiungendovi 300 milioni per le Regioni e 150 per i Comuni. Risultato? Molte aziende di trasporti hanno utilizzato quei soldi per risanare gli annosi buchi in bilancio.

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Tra studenti, docenti e personale la scuola coinvolge dieci milioni di italiani. E uno studio dell’Ipsos, che ha intervistato un campione di studenti tra i 14 e i 18 anni, avverte: 34mila studenti delle scuole superiori rischiano di alimentare il fenomeno dell’abbandono scolastico. Il 28 per cento degli intervistati ha dichiarato di avere un compagno di classe che non segue più le lezioni a distanza e il 35 per cento parla di «preparazione scolastica peggiorata». Sensazioni di «tempo sprecato» e di «preparazione scolastica peggiorata» anche per le difficoltà dei collegamenti online. Con un nuovo segnale: l’85 per cento dei ragazzi intervistati ha dichiarato di aver capito «l’importanza delle relazioni in presenza non virtuali». L’online e la distanza imposti sembrano meno attraenti per i più giovani. Ma, per il momento, di tornare a scuola non se ne parla. E fioccano le polemiche anche politiche tra M5s con il ministro Lucia Azzolina e il Pd con il segretario Nicola Zingaretti. Ma questi batti e ribatti non servono a riaprire le scuole. 
 

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