C’è una strana atmosfera intorno al Napoli che si prepara per l’ultima festa, quella di domenica 4 giugno, con la consegna della Coppa per lo scudetto. La decisione di Spalletti di interrompere il sodalizio con De Laurentiis, che il presidente riteneva di aver confermato inviando a inizio aprile una Pec all’allenatore dopo aver dichiarato in pubblico che sarebbe rimasto in panchina (24 marzo, Maschio Angioino), è un’ombra su questa festa che il patron, il tecnico, gli azzurri e soprattutto la città hanno meritato di vivere. Non è la decisione in sé (Spalletti non è il primo che vince e lascia: da Mourinho 2010 a Conte 2021 gli esempi sono tanti) quanto la modalità. Ed è auspicabile che presto l’allenatore del terzo scudetto spieghi le ragioni che lo hanno spinto a chiudere un rapporto che non è stato facile tra due uomini dal carattere forte e spigoloso, ma in grado con le loro capacità di guidare la società e la squadra verso un trionfo atteso da 33 anni.
Quando sei anni fa lasciò la Roma, Spalletti spiegò che la ragione era da ricercare nell’ostilità dell’ambiente, ovviamente non per i risultati (secondo posto davanti al Napoli di Sarri) ma per lo scontro con Totti che si era trasformato da questione calcistica in battaglia tra gladiatori. A Napoli, invece, Luciano è stato benissimo e anche ieri dagli spogliatoi di Bologna ha ammiccato alla tifoseria: «Il sentimento della città per il calcio è ciò che dà la qualità e fa la differenza». E ha sottolineato che si prepara a completare i festeggiamenti con «il popolo e i miei calciatori», dunque non con De Laurentiis. C’è un solco profondo tra i due. E, non conoscendo al momento le ragioni della decisione dell’allenatore, è un peccato. Ma il Napoli ha un presidente che ha saputo dare risposte forti e positive, dopo l’addio di un allenatore o di un campione. Aveva individuato in Spalletti l’uomo per la rifondazione del Napoli quando in panchina c’era Gattuso che lottava per un posto in Champions. Non si è smarrito davanti alle partenze di Insigne & co.
La nota felice della penultima e insignificante partita a Bologna, oltre alla dolcezza del portiere Gollini che ha portato in campo un neonato in maglietta azzurra prima dell’inizio, è stata la doppietta di Osimhen che ha blindato la classifica cannonieri e si prepara a festeggiare anche questo titolo al Maradona, davanti ai suoi tifosi. Dice Spalletti: «Victor avrà un futuro importante in qualsiasi squadra giocherà». Perché il dubbio che uno dei migliori attaccanti al mondo vada via, dietro adeguata contropartita economica, esiste. A Bologna, dopo un gol fortuito e un colpo di bravura del bomber, poi sono emersi i difetti della scorsa stagione: gol sbagliati e distrazioni difensivi. E così è sfumata la chance di superare il record dei 91 punti firmato da Sarri cinque anni fa. Domenica l’ultimo atto di una stagione strepitosa e di una festa in cui non è stata prevista la sfilata del pullman del Napoli nelle strade di Napoli per far sentire gli azzurri più vicini ai loro tifosi. Una “cerimonia” dovunque organizzata, e con successo, dopo un trionfo calcistico. Peccato. E poi comincerà il futuro, che non riguarda soltanto l’erede di Spalletti e il mercato della prima squadra. È il momento di chiedersi, ad esempio, quanto conti il settore giovanile per il club campione d’Italia, dopo la retrocessione della Primavera. «Bisogna essere strutturati a certi livelli», ha dichiarato il tecnico degli azzurrini Frustalupi. Di giocatori apprezzabili se ne sono visti davvero pochi: Gaetano - apprezzato da Spalletti anche se poco utilizzato - e Ambrosino, che si sta facendo valere al Mondiale under 20. In questo territorio il vivaio non è soltanto un serbatoio tecnico ma può essere anche un’occasione di riscatto sociale, da non far perdere ai ragazzi napoletani.