Ma con troppi leader non si rifonda la Dc

di Bruno Vespa
Sabato 25 Giugno 2022, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Diciamolo con franchezza. Al di là del dissenso personale, diventato insopportabile, tra Conte e Di Maio non c’era niente in comune. Conte ha sbagliato a non farsi un partito proprio durante le due crisi con Grillo nel primo semestre del 2021. È rimasto controllando la parte maggioritaria del M5s, ma - lungi dal mediare con la minoranza - ha portato il M5s su una posizione progressivamente incompatibile con il resto del partito.

La crisi sulla politica estera è un esempio di scuola: come si fa ad attaccare sulle armi all’Ucraina un governo in cui è ministro degli Esteri la seconda personalità più eminente del partito? Ma è l’intera linea politica che divideva mai le due aree del Movimento. Conte, che non ha mai accettato fino in fondo la sua sostituzione con Draghi, è su posizioni di sinistra marcata. Di Maio ha avuto una evoluzione opposta. La prima volta che lo incontrai nel 2014 (28 anni, da uno vice presidente della Camera), scrissi nel mio libro di aver visto un democristiano. Non ho mai cambiato idea, nonostante le scivolate sui Gilé gialli e l’improvvida richiesta di impeachment per Mattarella nel 2018. Da allora Di Maio è un’altra persona. Ha fatto un percorso sorprendente ed è difficile che anche fuori d’Italia ci sia qualcuno che non lo consideri un buon ministro degli Esteri. Oggi è un leader centrista, convinto nelle sue posizioni atlantiche.

Detto questo, bisognerà capire che cosa significa ‘Insieme per il futuro’.

Da quando c’è stata la scissione, le librerie hanno esaurito tutti i libri dei sogni disponibili. I politici hanno in genere pelo sullo stomaco e sono per necessità cinici e realisti. Ma quando cominciano a sognare non li tiene più nessuno.

Allora: se il sindaco di Milano Sala e il sindaco di Firenze Nardella uscissero dal Pd per raggiungere i loro collega di Venezia Brugnaro… Se Gelmini, Carfagna e Brunetta se ne andassero da Forza Italia… Se Giorgetti se ne andasse dalla Lega… Se Calenda fosse meno schizzinoso… Se Renzi diventasse più affidabile… Se tutto questo fosse possibile nascerebbe un Grande Centro che farebbe impallidire quello inventato nella Prima Repubblica da Gava, Forlani ed Enzo Scotti. Ma la Dc era la Dc: radicata nel potere, ma anche nei territori. Comune per comune, frazione per frazione. Con un programma solido che – piacesse o no – cercava di intercettare le diverse e mutevoli esigenze della società. Le associazioni tra personalità eminenti rischiano di deludere gli associati se non convincono l’elettorato di rappresentare i suoi interessi meglio dei partiti attuali. Ne sanno qualcosa gli eminentissimi Mario Monti e Lamberto Dini. Per quanto riguarda poi la supposta ‘area Draghi’ sarebbe perfino irrispettosa per l’interessato – oltre che per l’elettorato – se il presidente del Consiglio non desse un pur minimo cenno d’interesse. Per ora del tutto assente. 

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