Formica: stessa aria del ‘92
accuse da manifesto politico

di Alberto Alfredo Tristano
Giovedì 5 Maggio 2016, 00:14
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«Sento aria di ’92. Ho letto l’ordinanza dell’arresto del sindaco di Lodi e mi è sembrato di leggere un manifesto politico. Come se fossimo ai tempi di Tangentopoli». Fedele al suo spirito schietto, non usa mezze misure Rino Formica, classe 1927, storico esponente del Psi, più volte parlamentare e ministro.

Onorevole Formica, come valuta queste ultime inchieste sulla politica, in particolare il Partito democratico?

«Guardi, c’è una cosa che non mi convince proprio. Se un vescovo andasse su un pulpito e invece di una preghiera pronunciasse un proclama politico, sbaglierebbe. Lo stesso vale per i mullah in una moschea. Eserciterebbero impropriamente un loro potere, che è spirituale, per invadere il campo di un altro potere. Perché dovremmo valutare diversamente quando un magistrato fa l’ideologo?»

Crede sia in atto un’invasione di campo?

«I magistrati hanno un potere costituzionalmente garantito, sui versanti dell’obbligatorietà dell’azione penale, dell’autonomia, della giurisdizione. È bene che si attengano ai confini di questo spazio. Purtroppo devo constatare che non è così. Nelle sentenze, come anche nelle leggi, la forma è sostanza. È attraverso la forma che si capisce lo spirito, è attraverso le parole e gli argomenti che si distingue l’obiettività di un comportamento dalla militanza partigiana, che purtroppo spesso prende il sopravvento. Mi fanno tristezza, al proposito, certi politici...»

A che si riferisce?

«Parliamoci chiaro: il Parlamento è pieno di gente che gioisce al solo pensiero che il Pd sia travolto dagli scandali. Non capendo che se questo accade retrocede tutta la politica. Mi lasci ricordare il discorso di Bettino Craxi nel luglio del 1992, quello scioccamente ricordato per la chiamata in correità di tutti i partiti politici sulla questione del finanziamento illecito, tema del tutto secondario in quell’intervento. Il cuore era piuttosto un altro: io ho paura di un vuoto politico nella crisi del sistema che attraversiamo. Parole attualissime».

Renzi è troppo cauto?

«Sbraita, grida e strilla ma in buona sostanza non opera. Ogni volta si allarma, fa per minacciare ma poi subito si cautela col dire “rispetteremo le sentenza della magistratura”… ecco la viltà!»

E cosa dovrebbe fare?

«Dovrebbe dire chiaro e tondo: o rientrate nel vostro campo di competenza o si rivedono i punti del vostro potere costituzionalmente garantito. Perché alla fine, tutti i poteri devono essere forti, ma non al punto da soffocare gli altri».

Da dove nasce questo scontro?

«È un tipo di scontro con cui facciamo i conti da ormai un quarto di secolo, quando scoppiò la matrioska delle crisi: l’ordine internazionale sconvolto dalla fine del comunismo sovietico crea una crisi di sistema nazionale che crea a sua volta una crisi dei partiti. Tutti i poteri entrano in fibrillazione e sopravvive l’unico che ha davvero il monopolio della forza, quello giudiziario, con gli arresti, le manette, le detenzioni. Si dice che fu una stagione rivoluzionaria. Io dico invece che fu sul punto di essere una rivoluzione ma non lo fu, perché la magistratura non fece l’ultimo passo: assumere la guida del governo. Sembrava una rivoluzione ed era una rivolta, cioè un fenomeno che non cambia l’ordine ma il personale che deve gestire quell’ordine. Da lì in poi assistiamo a incursioni rivoltose della magistratura, senza però quella massa critica che ebbero allora».

Come ha letto le parole sui “politici che rubano più di allora” del nuovo presidente dell’Anm, Piercamillo Davigo, un protagonista di quella stagione?

«Se fossero state pronunciate in una conferenza, andavano benissimo. Ma il problema è che sono l’enunciazione di un comportamento in una carica che ha valenza istituzionale, e questo va assai meno bene. Un generale può scrivere tranquillamente un libro sul nostro sistema militare bucherellato, ma non è che può emettere un ordine di servizio in cui concede ai suoi militari, siccome il sistema è fallace, di fare quello che gli pare. Le opinioni sono libere e importanti, ma ugualmente importante è il loro contesto in cui sono dette e il ruolo che svolge chi le pronuncia nel momento in cui le pronuncia».

C’è secondo lei una questione morale in politica?

«Non esiste.
Intendo dire che un principio può avere una valenza diversissima a seconda del contesto in cui è affrontato. L’eutanasia non è la stessa questione se se ne parla in un’associazione di libero pensiero o in un convegno ecclesiastico. Se parliamo di partiti, parliamo inevitabilmente dei loro membri. E allora sgomberiamo subito il campo: la questione morale non c’entra nulla con la legge. Il movimento operaio è vissuto sulle gesta di compagni che occupavano le fabbriche: tecnicamente fuori legge, ma certamente da candidare, anzi da candidare con una medaglia sul petto, e infatti lo si faceva per tirarli fuori dal carcere. I militanti di un partito di massa vanno valutati per la loro utilizzazione. Una persona può essere sconveniente se inserita in una lista elettorale, ma non è detto che a prescindere non possa partecipare alla vita di un partito. Il problema è un altro: un partito deve avere l’autorevolezza e la forza per fare le sue scelte. E invece questi che fanno? Vanno con le liste in mano dall’Anticorruzione. Che non potrà mai controllare tutte le migliaia di candidati, che si intaserà di lavoro e allora vedrà che prima o poi qualcuno dirà che l’Anticorruzione copre i delinquenti. Basta ricordare Sciascia e quel suo grido contro “i professionisti dell’antimafia”? Ecco, prepariamoci ai professionisti dell’anticorruzione...»
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