Il calcio italiano nelle mani dei cinesi

di Gianfranco Teotino
Martedì 13 Febbraio 2018, 23:00
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Pallone a mandorla. Altro che spagnoli. Loro almeno avrebbero avuto un certo know how, la Liga è per molti tecnicamente il campionato più bello d’Europa e anche economicamente negli ultimi anni ha fatto passi da gigante. Invece no. 

Abbiamo ceduto il telecomando della Serie A ai cinesi, il futuro televisivo del calcio italiano è finito nelle mani di un fondo, cinese appunto, di private equity, Orient Hontai Capital si chiama. Ma come, non era Mediapro il gruppo, spagnolo ci avevano detto, che avrebbe dovuto rivoluzionare la fruizione del campionato in tv? Sì, sì, lo è ancora, sempre che arrivi l’autorizzazione dell’Antitrust, ma intanto la maggioranza delle azioni di Mediapro, il 53,5%, è passata di mano. Sembra che l’operazione sia ancora da perfezionare negli ultimi dettagli, ma il dado è tratto, l’atteso ok delle autorità governative di Pechino deve essere finalmente arrivato. Non si tratta di una novità clamorosa, la comunità economica internazionale già sapeva da ottobre, c’è da sperare perciò che i presidenti dei nostri club ora non fingano di essere sorpresi.
Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente. Lo diceva Mao Tse-tung e, forse, prima di lui Confucio. Mah… Non resta che sperare. Le perplessità però crescono. Che ne sanno i cinesi del calcio? Chiedere ai tifosi di Inter e Milan? Meglio evitare. Persino le cifre di questa ultima trattativa inquietano: per il controllo di Mediapro, i cinesi stanno pagando una cifra oscillante intorno ai 900 milioni di euro, cioè meno del minimo garantito annuale concesso alle società di serie A per i diritti sul campionato (un miliardo, 50 milioni e mille euro). Garantito finora solo a parole, perché le fidejussioni non sono ancora arrivate.
Ora ci diranno che i due soci spagnoli che si sono presentati in Lega a illustrate i loro progetti, Jaume Rourers e Taxto Benet, pur mantenendo soltanto il 12% a testa delle quote del gruppo, sono riusciti a mantenere una sorta di golden share che consentirà loro di incidere sulle scelte societarie. Ma il “modello spagnolo” su cui De Laurentiis, Cairo, Lotito e i loro amici avevano deciso di puntare sta sfumando quasi completamente. Ieri la Liga ha blindato il suo presidente Javier Tebas: aumento di stipendio a 1,2 milioni netti più bonus per arrivare a un milione e mezzo e tanti saluti alla possibilità che sia lui a diventare amministratore delegato della Lega di Serie A.
Eravamo già confusi prima, di fronte alla maxi offerta lanciata quasi al buio da Mediapro: da dove avrebbero tirato fuori tutti quei soldi, considerato quanto sia tuttora acerbo il mercato delle telecomunicazioni italiane? Perché Sky, la mucca che il calcio italiano in questi ultimi anni ha continuato a mungere per alimentari e tenersi in vita, avrebbe dovuto offrire più di quanto fatto, senza avere nessuna garanzia di esclusiva, anzi di fronte a dichiarazioni di ulteriore apertura alla distribuzione delle partite anche agli Ott, su piattaforme Internet, sui dispositivi portatili, a chiunque cioè si fosse fatto avanti? Come avrebbero potuto, quelli di Mediapro, mantenere gli impegni economici senza avere la possibilità di fare un canale loro, autoprodotto e con la facoltà di raccogliere in proprio la pubblicità? E quanto noi utenti avremmo dovuto pagare di abbonamento? Molto meno, ci dicevano, rendendo ancora più incomprensibile l’offerta alzata a oltre un miliardo.
Ora la situazione è di nuovo cambiata, o almeno sta per cambiare. Sono arrivati i cinesi. In realtà, hanno soltanto chiuso un cerchio. Anche Infront, l’advisor storico del calcio italiano, il gruppo padre e padrone della cessione e della redistribuzione dei diritti calcistici (e del potere calcistico) in Italia, è passato di mano: non sono più il nipote di Blatter e i suoi amici in giro per il mondo e per l’Italia a governarlo, ma, anche qui, i cinesi, in questo caso la conglomerata Dalian Wanda, quelli che hanno dato il nome al nuovo stadio dell’Atletico Madrid, club di cui detengono una quota del 20%. Cina-Spagna-Blatter. E non solo. Mediapro era ed è in affari con il fondo sovrano di Doha per il lancio e lo sviluppo in Europa del canale beIN Sports e non a caso è rimasto coinvolto nell’inchiesta Fbi su Fifa Gate e assegnazione dei Mondiali 2022 al Qatar. Come Blatter, appunto, e Platini.
Insomma, i soliti noti, vecchi e nuovi padroni del pallone, si ritrovano a braccetto, stavolta però non più alimentati soltanto da petro e gas dollari, ma anche dagli yuan cinesi. Che oggi ci sono e domani chissà, considerati i continui stop and go di governo e partito comunista di Pechino agli investimenti all’estero. Prendete Suning, il gruppo, solido, solidissimo, che ha rilevato l’Inter: sembrava disposto a spendere quel che serviva per costruire uno squadrone e invece si è subito fermato. Diversa la storia del Milan, anche perché diversa è la composizione della nuova proprietà, che difficilmente può essere definita cinese in senso stretto, sì il maggiore azionista è di origini cinesi, ma non appartiene alla comunità finanziaria del Paese. La verità è che i cinesi sono entrati nel calcio europeo non per vincere, ma per imparare: per capire che cos’è il calcio e come si gestiscono i club calcistici. Il loro obiettivo è vincere a casa loro (per questo Suning non regala all’Inter i giocatori forti dello Jangsu), far diventare il football uno sport importante e praticato come da noi anche in Cina e avere una nazionale competitiva.
Resta il fatto che dai cinesi il calcio italiano dipende sempre di più. Dopo l’Inter, il Milan; dopo gli spiccioli investiti in squadre minori o medie, come Pavia o Parma, ecco Mediapro. Per non parlare di Infront. Siamo sicuri di avere trovato gli investitori giusti? Sì, soldi da spendere ne hanno, ma le squadre che vincono e convincono (dal Manchester City al Paris St.Germain, dal Manchester United al Chelsea) hanno proprietà arabe, americane, russe oppure, più semplicemente, sono in mano a una sorta di azionariato popolare, dal Barcellona al Real Madrid, dal Bayern Monaco a tutte le tedesche. Noi no. Noi ci mettiamo nelle mani dei cinesi…
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