Il caso Ilva il declino e i dogmi da abbattere

di ​Davide Tabarelli
Domenica 21 Gennaio 2024, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Nel mondo l’anno scorso sono state prodotte 1900 milioni di tonnellate di acciaio, in Europa 137, in Italia 22, a Taranto 3. La quota dell’acciaio europeo sul totale nel 2000 era del 20%, oggi è l’8% ed è la Cina, con 1 miliardo di tonnellate, che si è presa la gran parte della produzione aggiuntiva mondiale. L’inesorabile tramonto di Taranto, che ha le sue aggravanti, fa parte di un generale arretramento dell’industria dell’acciaio in Europa. Magra consolazione.

Perché lo scontro degli ultimi 12 anni, dopo il sequestro del 2012, conferma la nostra grande difficoltà di fare industria, in particolare quella grande, in particolare quella del Sud. In questa sorta di guerra civile dominano i principi, spesso i dogmi, ambientali, dall’accusa di strage del processo penale, ai progetti di decarbonizzazione di cui tutti si riempiono la bocca. Circa il primo punto, la vera causa dell’ultimo fallimento, vi è da chiedersi come mai, se a Taranto l’acciaio uccide, come molti integralisti sostengono, nel resto del mondo si producono miliardi di tonnellate di acciaio, da impianti molto efficienti, senza fare stragi. 

Tutti parlano di decarbonizzazione dell’acciaio, agganciandosi al sogno dell’idrogeno verde, fatto dall’acqua con elettricità da fonti rinnovabili, che così diventa verde, per sostituire il carbone nell’ossidazione del minerale. Nel mondo non esiste una tonnellata di acciaio fatta con idrogeno verde, mentre esistono tanti impianti sperimentali che si spera, da anni, di far partire. Il miliardo di acciaio che fa la Cina, e che sta inondando tutti i mercati per calo della domanda interna, è fatto in modo tradizionale con almeno 500 milioni di tonnellate di carbone. Molti sperano nel preridotto, o Dri (Direct reduced iron), una delle soluzioni portanti per Taranto. Nel mondo nel 2023, di Dri se ne sono prodotte 130 milioni di tonnellate, il 7% del totale, quasi tutte impiegando gas in paesi che ne hanno enormi riserve a costi vicino a zero. Che questo acciaio si possa fare con l’idrogeno fatto da elettrolisi impiegando elettricità da rinnovabili è un sogno europeo che rimarrà tale. 

Mentre si incaglia il negoziato di Taranto, si accusa ArcelorMittal di investire in Francia, ma le cose sono un po’ più complesse.

Il progetto, annunciato da tempo, è a Dunkerque, dove la società ha totale controllo e dove non c’è l’ostilità dei locali che c’è a Taranto. L’investimento da 2,5 miliardi, con 0,9 dallo Stato, è simile a quello ipotizzato a Taranto, anche qui con Dri, ma assieme a molto rottame per i forni elettrici, mentre, in attesa di un futuro con idrogeno, quello sognato, si impiegherà gas naturale. Il grande vantaggio è che avrà elettricità a prezzi scontati dalla centrale nucleare dell’EdF lontana solo 3 chilometri. Da mesi si parla di prezzi a 70 euro per megawattora, contro valori in Europa a 100 e una media in Italia l’anno scorso di 127. Non solo l’abbondanza di elettricità a prezzi scontati renderà conveniente lavorare rottami o Dri nei forni elettrici, ma potrebbe anche servire per fare idrogeno, e sostituire il gas, il cui colore, nella cromatica energetica, diventa viola e non più verde. Senza il nucleare il progetto non sarebbe fattibile. Dall’altra sponda della Manica, giovedì scorso è stata annunciata la chiusura di uno degli impianti storici dell’acciaio europeo, quello di Talbot, degli indiani della Tata, in Galles. La chiusura dei due altoforni da 5 milioni tonnellate porterà al licenziamento di 3000 dei 4000 dipendenti. Gli altri mille rimarranno a lavorare con i due nuovi forni elettrici che lavoreranno rottame di ferro, mentre, con pragmatismo britannico, non si azzarda di parlare di idrogeno, né di Dri. 

Da Dunkerque e da Talbot occorre trarre insegnamento anche per Taranto, per far capire che serve maggiore realismo, che senza energia a costi bassi ogni progetto non è attraente per nessuno e che è troppo facile buttarla sull’energia dal sole. Il tutto per sperare che finalmente finisca la guerra ambiente industria. 

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