Fca-Psa, le nozze tra le malate dell’auto in Europa

di Giuseppe Berta
Venerdì 17 Gennaio 2020, 00:00 - Ultimo agg. 06:30
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L’industria dell’automobile è oggi il settore che più riflette le incertezze e gli interrogativi cui è oggi soggetto il sistema economico. I problemi sono legati soprattutto alla complessità del passaggio verso le nuove piattaforme elettriche, che rappresenta un’incognita senza precedenti. Eppure gli ultimi dati che giungono dai mercati non sono, tutto sommato, negativi. 

Se è vero che l’andamento della Cina, il più grande mercato del mondo, non è affatto rassicurante (si calcola una flessione attorno al 10%), le vendite negli Stati Uniti e in Europa sono state migliori rispetto ai timori che si erano nutriti. Negli Usa, il numero delle auto vendute nel 2019 ha sfiorato i 17 milioni, con una flessione dell’1,4%; nell’ area dell’Europa, secondo le rilevazioni diffuse ieri dall’Anfia, l’associazione dei produttori della filiera automobilistica, ha toccato i 15,8 milioni, con un progresso dell’1,2% rispetto al 2019. 

Almeno in Occidente, insomma, l’auto sembra tenere, anche se è doveroso riflettere sugli orientamenti dei mercati e sulla posizione dei produttori, giacché in Nord America a dicembre la tendenza era verso un calo delle vendite, mentre i dati erano in netto miglioramento in Europa. In Italia, le vendite di auto sono state di poco inferiori ai 2 milioni, con una tenuta del mercato rispetto all’anno precedente.

A variare, e di parecchio, sono state invece le performance delle case produttrici. Chi ha fatto meglio in Europa sono stati grandi gruppi tedeschi, come Volkswagen e Daimler, e orientali, come Toyota e Hyundai. Chi ha fatto peggio di tutti è stata Fiat Chrysler, che non solo ha chiuso l’anno con un calo complessivo del 7,3%, ma che ha registrato delle cadute impressionanti come quella del marchio Alfa Romeo (-35%). Eppure, l’ultimo piano industriale di Fca, varato il 1° giugno 2018, assegnava alle vetture Alfa obiettivi importanti, come peraltro era già successo in precedenza. Addirittura, l’asticella era stata portata a un livello altissimo, quello delle 400 mila vetture, da conseguire entro il 2022. Al contrario, Alfa Romeo slitta sempre più in basso, rendendo tremendamente difficile un’operazione di recupero. Se poi si leggono le cifre con attenzione, si scopre che tra le vetture più vendute c’è stata la piccola Ypsilon, praticamente l’unica sopravvissuta di un marchio un tempo glorioso come Lancia. 

I numeri rivelano la crisi acuta che Fca sta vivendo sui mercati europei e non lasciano dubbi sul fatto che l’aggregazione con un altro gruppo è da tempo la strada obbligata. Del resto, Carlos Ghosn, l’ex leader dell’alleanza fra Renault e Nissa, che da poco si è avventurosamente sottratto alle sue vicende giudiziarie in Giappone, ha detto a chiare lettere, nel corso della sua conferenza-stampa in Libano, che i contatti tra Fca e Renault erano stati avviati subito dopo la scomparsa di Sergio Marchionne. La fusione non è andata in porto dopo l’arresto di Ghosn da parte della magistratura nipponica, ma non può sorprendere che, tramontata quell’ipotesi, ne sia immediatamente subentrata una nuova, quella del matrimonio con l’altro gruppo automobilistico francese, Psa. Certo, la strada che conduce alla fondazione di un nuova grande casa produttrice è ancora lunga, ma ormai il percorso sembra essere stato tracciato.

Purtroppo, ciò può rappresentare una soluzione per gli azionisti di Fca, ma non lo è per la produzione automobilistica italiana, che non ancora sa quale parte le spetterà all’interno del nuovo gruppo. È senz’altro vero che Carlos Tavares, che sarà alla sua testa, è un manager bravissimo e determinato, un uomo di punta nel sistema mondiale dell’auto. Ma è altrettanto vero che Psa ha conosciuto a sua volta una piccola flessione dei propri marchi durante il 2019 (-1,5%) e che soprattutto dovrà condurre una complessa opera di riorganizzazione nei prossimi tempi. Per il momento, Tavares ha già annunciato la necessità di procedere alla riduzione di oltre duemila posti di lavoro per il marchio Opel, da lui acquisito pochi anni fa e riportato alla redditività. Ma è improbabile che sia l’unico taglio previsto.

La notizia ha innescato l’immediata reattività sindacale per i rischi che può correre l’occupazione nell’auto anche nel nostra Paese. Per dirla tutta: se i posti si contraggono anche in una nazione della potenza industriale della Germania, ben attenta a presidiare il proprio patrimonio produttivo, si può essere tranquilli per una situazione come quella italiana, in cui gli impianti sono sottoutilizzati e il presidio istituzionale è, come il potere di contrattazione, alquanto più basso? Il confronto tra Fca e Psa per la configurazione del nuovo gruppo dell’automobile durerà tutto il 2020. È sperabile perciò che vi siano i margini e la possibilità per fare in modo che le fabbriche del nostro Paese siano difese efficacemente, dopo la lunga stagione di stasi negli investimenti in nuovi prodotti, perché esse formano una delle nervature centrali della struttura industriale, specialmente nel Mezzogiorno.
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