Chi controlla i controllori delle economie

di Angelo De Mattia
Venerdì 7 Ottobre 2022, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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È ammissibile che le agenzie di rating, istituzionalmente competenti a valutare i titoli emessi dagli Stati, emettano giudizi di natura politica riguardanti il futuro di un governo non ancora costituito e di cui non è ancora noto il programma? Non si sconfina, così facendo, in una funzione impropria che tra l’altro può avere un impatto, per esempio nel caso dell’Italia, sullo spread e sui rendimenti dei titoli pubblici? 

Domande non oziose, perché è quanto accaduto mercoledì con l’agenzia Moody’s che ha anticipato un probabile declassamento del rating italiano (che così porterebbe il debito al grado di “spazzatura”) se si dovessero indebolire le prospettive di crescita a causa del rallentamento nell’attuazione delle riforme strutturali, comprese quelle previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). 

E qui siamo già al limite. Ma saremmo oltre quando l’agenzia sostiene che l’ambiente politico attuale potrebbe ostacolare l’attuazione di tali riforme, mentre l’eventuale rinegoziazione di alcuni aspetti del Pnrr probabilmente ne ritarderà l’attuazione. Più in particolare, un deciso allentamento fiscale potrebbe esercitare, secondo Moody’s, insieme con l’aumento degli interessi sul debito, un impatto non positivo sulle prospettive di crescita. 

Insomma, si tratta di giudizi di natura “politique politicienne” e fanno chiaramente sorgere il problema della compatibilità con valutazioni tecniche, soprattutto quando ci si inoltra nei presagi, sullo stile della Sibilla cumana, sviluppando ragionamenti che si cautelano con il ricorso ai condizionali e alle probabilità. 

Ma molti ricorderanno, proprio nel campo prognostico, l’incapacità da parte delle agenzie di cogliere i segni di grandi crisi, quale per esempio quella dei subprime americani. Hanno mai pagato per quei gravissimi errori? Eppure i danni sono stati devastanti.

Ora, le forze politiche che sostengono il governo possono continuare ad assumere, di fronte a giudizi simili, posizioni critiche verso le agenzie; oppure plaudire se in quel momento sono all’opposizione.

Tuttavia, poi sopravviene il momento in cui le parti si invertono, per esempio con un mutamento del governo, e allora come d’incanto cambiano opinione critici e plauditori. 

Si può continuare così? Si può trascurare che questa è materia che dovrebbe riguardare qualsiasi governo, di destra, di centro e di sinistra? No, davvero non si può. Si può invece sollevare il problema del ruolo di queste società e ritenere necessaria un’adeguata regolamentazione al grido di «Quis custodiet custodes?», per dirla con Giovenale che mal sopportava i vigilanti non vigilati. 

Da tempo si avverte, in effetti, l’esigenza di una normativa organica, a livello europeo e nazionale, delle agenzie di rating non certo per forzare i loro giudizi, ma per fare sì che essi rispondano ai principi di trasparenza, accountability e prevenzione dei conflitti di interesse. 

Non è il caso di pensare all’istituzione di un’agenzia europea, che avrebbe un significato dirigistico. Ma regole e controlli sono necessari anche per le procedure che vengono seguite ai fini dell’emissione dei giudizi, per le categorie delle persone consultate, i documenti vagliati, i confronti avuti, le ragioni delle revisioni eventualmente decise, così per gli assetti proprietari, per i rapporti con gli azionisti di riferimento. 

Una Vigilanza, alla stregua di quella bancaria, non interferisce né deve interferire sul merito dell’attività; deve essere meglio ancora, tanto per trovare un raffronto, un po’ simile a quella del ministero della Giustizia sui magistrati che certamente non può intervenire nel merito della funzione. 

Anche a livello internazionale (basti pensare a casi verificatisi negli Stati Uniti) occorrerebbe dettare, da parte delle istituzioni finanziarie globali, regole e comportamenti in proposito. Quanto ancora dovremo aspettare per poter commentare le nuove regole?

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