Napoli, cinema in crisi: a rischio chiusura anche il Delle Palme

Nuovo allarme dopo il caso Metropolitan: ipotesi supermercato per lo storico locale

Il cinema Delle Palme
Il cinema Delle Palme
di Gennaro Di Biase
Sabato 25 Marzo 2023, 00:00 - Ultimo agg. 19:10
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Le minacce per la cultura a Chiaia piovono da ogni parte. Dopo la vicenda - tutt’altro che conclusa - del Metropolitan a rischio sfratto, anche l’altro storico cinema della zona, in via Vetriera, passa tempi più che bui: il Delle Palme «potrebbe cambiare destinazione». A parlare è il proprietario e gestore della struttura, Gustavo Confalone. La chiusura non è imminente, in questo caso, dal momento che la proprietà e la gestione della sala coincidono (non c’è un canone d’affitto da pagare, insomma, contrariamente a quanto accade per il Metropolitan, i cui locali appartengono a Intesa Sanpaolo, intenzionata a vendere). Ma, tra offerte e tasse da pagare, i rischi per il Delle Palme sono tangibili. «Dobbiamo rifiutare di continuo le offerte dei supermercati», sospira lo stesso Confalone.

Il suo appello è accorato, ma allo stesso tempo preciso e circostanziato. Il cinema Delle Palme, va ricordato, non ha ancora riacceso gli schermi dopo la pandemia. «Si sono interessati vari supermercati - spiega Confalone - da Md a Decò, dal Carrefour alla Conad. Abbiamo risposto di no a tutti, replicando ai loro manager che a noi piace la cultura. Essendoci la crisi dei cinema, tutti sanno che siamo in difficoltà, ma mi auguro che ne usciremo, come ne siamo già usciti in passato». 

I rischi però ci sono, e Confalone non li nasconde: «Paghiamo 37mila euro di Imu ogni 12 mesi - prosegue il proprietario - e siamo stati chiusi per tre anni durante il Covid.

Abbassare di almeno un terzo questa imposta ci salverebbe. In caso contrario, probabilmente saremo costretti a cambiare destinazione d’uso alla struttura. Abbiamo quattro sale. La sola sala 1 è di 1000 metri quadrati. Riapriremo il cinema a settembre di quest’anno, salvo imprevisti. Siamo rimasti chiusi finora e non abbiamo ancora riaperto dopo la pandemia, abbiamo avuto difficoltà con i programmatori sulla scelta dei film: sono saltati gli accordi. Al momento, stiamo andando avanti con i fitti di sala, riunioni, ricevimenti, saggi di danza o prove per gli spettacoli. A volte affittiamo anche al Teatro Diana, sempre per le prove. Se concedessi i locali a un supermercato, da proprietario, ci guadagnerei tantissimo. Ma vaglieremo questa opportunità solo se saremo costretti a farlo. Sono nato nel cinema e vorrei che il Delle Palme restasse cinema finché ne avrò le forze».

Fare cultura in perdita o cedere al business e guadagnare. Questo il bivio di chi oggi si accosta all’impresa nel salotto buono di Napoli. Questo è il paradosso in cui si ritrova intrappolata la Chiaia contemporanea. È proprio il prestigio della zona a mettere in crisi le attività che hanno a che fare con l’arte. La Feltrinelli, dopo il restyling, ridurrà i metri quadri occupati in piazza dei Martiri. Il Metropolitan aspetta un vincolo dal ministero della Cultura, promesso da Sangiuliano per salvare la struttura. Nel quartiere, praticamente, al momento non ci sono librerie vere e proprie. Di fatto, la cultura a Chiaia fa una fatica enorme. Gli affitti sono alti, per una zona che, ormai sempre più solo sulla carta, si presenta come il salotto dell’alta borghesia partenopea. Da un lato c’è il business, con supermercati ed esercizi di food and drink che si presentano come le sole attività remunerative. Dall’altro lato ci sono la storia e la cultura, che non producono abbastanza rispetto ai prezzi degli affitti e alla quantità degli incassi. La digitalizzazione, con gli shop online che mettono in ginocchio le librerie e con le piattaforme che sottraggono clienti alle sale, ha tolto mercato alla cultura. 

 

In quest’ottica, il presidente della commissione Cultura in via Verdi, Luigi Carbone, lancia una proposta assieme all’ingegnere Renato Papale. «Il Metropolitan è dei napoletani - spiega il primo - Questa affermazione potrebbe non essere solo una provocazione, ma anche una realtà. Basterebbero 1500 napoletani che, per soli 2000 euro, comprino le azioni per un totale di 3 milioni, diventando così proprietari delle sale e attori di un’attività culturale». «Il modello potrebbe essere quello di un’impresa culturale a capitale distribuito - argomenta Papale - Sono un napoletano “di ritorno”, e posso assicurarvi che per esempio in Toscana modelli simili sono diffusi. Se l’impresa culturale Metropolitan è dei napoletani, i cittadini potrebbero investire una parte del loro capitale per comprare il Metropolitan. Un modello si potrebbe estendere anche ad altre realtà».

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