Festival blasfemo, l'ultima follia di un Comune senza bussola

di Antonio Menna
Mercoledì 22 Settembre 2021, 00:00 - Ultimo agg. 23 Settembre, 11:21
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Credevate di aver visto tutto, in questa città. Di bello e di brutto, di surreale e di scandaloso, di poetico e di patetico, di fantasioso e di assurdo. Invece mancava ancora qualcosa. Il sigillo, diremmo finale se non temessimo ancora qualche colpo di coda del curioso, sfibrante, regime autarchico e caotico di una città dove la mano destra non sa quello che fa la sinistra, dove tutto è consentito, dove a tutto si trova una scusa, dove niente è mai colpa di nessuno e non ci si prende mai la responsabilità di nulla. Una bella batteria di manifesti giganti affissi di fronte a scuole, chiese, in pieno centro, da Salvator Rosa a Chiaia, con enormi bestemmie a caratteri cubitali. Senza possibilità di equivoco. Per non sbagliarsi, si chiama in causa direttamente Dio. Il bestemmione. La bestemmia delle bestemmie. Servita ai suoi massimi livelli. E per attrarre l’attenzione, perché arrivi bene e dritta agli occhi di chi legge, viene pure colorata, illustrata, richiamando icone storiche della Disney o commerciali, mescolandola all’immaginario in modo che il colpo arrivi davvero a tutti: ai bambini, agli adolescenti, agli anziani. Soprattutto a loro. Ai credenti, in modo da offenderli con la precisione dei cecchini. 

Ci sarà voluta una bella organizzazione per fare stampare i manifesti, prendere una scala, fare la colla, affiggerli in posti che non sono casuali ma così puntuali da sembrare strategici. Tenerli in bella vista una mattinata intera fino a che qualcuno non alza gli occhi, li strabuzza, poi indignato solleva il caso. Solo allora, arriva il Comune, con il suo tradizionale passo, la solita replica balbettante, i distinguo, i non sapevamo, i non è colpa nostra. Credevate di aver visto tutto, in questa città. Ma non era ancora finita. 

Mancava la bestemmia su tutti i muri. Nelle ore successive, ovviamente, a questa piccola guerriglia miserabile e senza alcun significato culturale, la stessa viene spacciata per arte – un po’ come gli insulti sono stati in questi anni spacciati per idee, e le aggressioni di piazza per militanza politica, e le boutade per programmi amministrativi -: ma arte di cosa? I manifesti sono abusivi, ha detto il Comune, li rimuoviamo.

E ci mancherebbe. Fate una multa a qualcuno oppure anche questa va in cavalleria? Ma le affissioni non arrivano per caso. Non c’è un mattacchione che si è svegliato una mattina e ha deciso di fare tutto all’improvviso e di testa sua.

La campagna di manifesti nasce come corollario non programmato di un evento autorizzato e voluto dal Comune, che si tiene al Pan dal 17 al 30 settembre, con il patrocinio dell’assessorato alla Cultura. Un “festival delle arti per la libertà d’espressione contro la censura religiosa”, che esplicitamente rivendica il diritto di bestemmiare perché la blasfemia è libertà di espressione. Opere volutamente offensive, si dice nella presentazione del Festival. I manifesti, quindi, pur abusivi (del resto anche i burocratici lacci delle norme comunali saranno un limite alla libertà di espressione, no?), non compaiono per caso, ma sono parte integrante di una operazione - definita culturale - su cui il Comune ha ritenuto di investire, mettendo a disposizione locali pubblici e perfino il patrocinio, con tanto di pagina sul sito istituzionale dell’ente. «È importante che soprattutto le nuove generazioni capiscano la differenza tra morale e moralismo», scrive nel suo comunicato di sostegno all’evento, l’assessora Annamaria Palmieri. 

Forse è altrettanto importante che qualcuno spieghi ai prossimi amministratori, che ci auguriamo molto più attenti di quelli in carica, la differenza tra un passante e chi ha una responsabilità pubblica verso tutti i cittadini; la differenza tra una offesa e un pensiero; la differenza tra un insulto e un’opinione. Il confine tra la libertà di espressione e il rispetto per la sensibilità di tutti – che si tratti di una fede religiosa, un sentimento, una identità -; la differenza tra la satira – che può essere non contenuta nel linguaggio ma solo se ha una finalità di oggettivo e pubblico interesse – e una squallida bestemmia. La differenza – in definitiva – tra cultura e profonda, oscena, ignoranza.
 

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