Napoli, il processo alle intenzioni che fa perdere lo sport

di Francesco De Luca
Martedì 10 Novembre 2020, 23:30
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Il Napoli non è riuscito a pareggiare la partita con i giudici del calcio: la Corte sportiva d’appello, presieduta dal professore Piero Sandulli, ha confermato la sconfitta a tavolino per la gara non giocata contro la Juve il 4 ottobre e il punto di penalizzazione. E Sandulli, ricordato per avere decretato 14 anni fa la retrocessione del club bianconero in serie B con revoca di due scudetti al termine dell’inchiesta Calciopoli, è andato oltre. Ha accusato, con parole e aggettivi duri e raramente letti, il Napoli di slealtà sportiva e di “dolo di preordinazione” perché «nei giorni antecedenti quello in cui era prevista la disputa di Juventus-Napoli» si era attivato «per precostituirsi, per così dire, un “alibi” per non giocare quella partita». Toni sprezzanti per il club di De Laurentiis, che evidentemente non aveva «colpito al cuore» i giudici della Corte, al contrario di quanto era stato dichiarato con ottimismo dall’avvocato Grassani poche ore prima della sentenza. L’orientamento di Sandulli era chiaro, peraltro. «Non bisogna lasciare che la classifica venga scritta dal Covid», aveva dichiarato a Radio Punto Nuovo il 5 ottobre, ventiquattr’ore dopo la partita fantasma di Torino. Quelle parole De Laurentiis e il suo legale le avevano ascoltate? E non erano stati sfiorati dall’idea di una ricusazione?


Secondo la Corte, il Napoli non voleva giocare a Torino - e non si sa bene per quale ragione, visto che Gattuso avrebbe potuto ovviamente fare fronte alle indisponibilità di Elmas, Insigne e Zielinski - e si sarebbe attivato affinché vi fosse un divieto da parte della Asl, contattando a più riprese le autorità sanitarie e il capo gabinetto della Regione Campania. E la causa di forza maggiore - prima negata e poi rilevata da Sandulli - sarebbe emersa troppo tardi, con quella mail delle ore 14.13 di domenica 4 ottobre. Non è così. Già i precedenti atti delle Asl obbligavano i calciatori del Napoli a non muoversi e la domenica mattina è stato soltanto chiesto un ulteriore chiarimento da parte del club perché nella tarda serata di sabato la Lega Serie A aveva respinto la richiesta di De Laurentiis di rinviare la gara. La causa di forza maggiore c’era, dunque.

Il punto è che Sandulli, come il giudice sportivo Mastrandrea in primo grado, ha agito con il paraocchi per difendere i principi dell’ordinamento sportivo e il protocollo redatto il 13 giugno per consentire la conclusione della stagione 2019-2020. I dirigenti del Napoli non erano «legittimati a “farsi le regole da soli” ma sono tenuti a rispettare quelle fissate dalle autorità federali competenti». Ma al di sopra di quelle regole e di quel protocollo c’era il cogente provvedimento di due Asl. Per Sandulli, invece, la società ha fatto «una palese violazione dei fondamentali principi sui quali si basa l’ordinamento sportivo, ovvero la lealtà, la correttezza e la probità». Il giudice è andato ben oltre il processo alle intenzioni che aveva fatto il collega Mastrandrea il 14 ottobre.


La strada resta in salita per De Laurentiis ma non è finita. Il prossimo passo sarà presso il Collegio di garanzia del Coni presieduto dall’ex ministro Franco Frattini (probabilmente il procedimento sarà assegnato alla Prima sezione, presidente Mario Sanino), poi si passerebbe al Tar e al Consiglio di Stato. E, dunque, assisteremo a un vecchio copione, con la giustizia ordinaria che farà prevalere le leggi dello Stato sulle regole della giustizia sportiva. La partita rischia di concludersi tra mesi e questa sì che sarà un’irregolarità. Peraltro, qui non è in ballo un’iscrizione al campionato ma la responsabilità delle autorità sanitarie locali che in una fase così drammatica per il Paese non può essere messa in discussione. Aveva ragione il Napoli: la situazione dei contagi in Italia il 3 ottobre non era quella del 13 giugno, la data del protocollo. La sentenza di Sandulli è arrivata proprio nelle ore in cui alcuni calciatori della Fiorentina non hanno rispettato l’isolamento disposto dalla Asl di Firenze e hanno raggiunto i ritiri delle loro nazionali, così come fece in ottobre Cristiano Ronaldo. Sono inappropriati i principi a cui si è appellata la giustizia del calcio per respingere due volte l’istanza del Napoli e lo è ancor di più l’arroganza dell’accusa di slealtà.

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