Il nuovo inizio fa i conti ​con i guasti di sempre

di Antonio Menna
Venerdì 4 Giugno 2021, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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Chissà quanti napoletani lo hanno già pensato. Chissà quanti, a denti stretti, lo hanno già detto che si stava meglio quando si stava peggio. Cioè quando tutto era chiuso; quando il lockdown severo, la consegna del restare a casa, quella terribile ma rassicurante zona rossa, ci teneva al riparo dalla insostenibile pesantezza del vivere in un luogo dove l’equilibrio è barcollare costantemente su una crisi di nervi.

Metropolitane ferme o in ritardo, cantieri stradali bloccati, autobus attesi come desideri, traffico incolonnato per ore da Posillipo al centro, cestini gettacarte stracolmi e non svuotati, sono ricomparsi anche i materassi abbandonati sui marciapiedi, e i calcinacci e la spazzatura lasciati agli angoli delle strade, di nuovo le muraglie di bottiglie di birra a colorare i panorami del centro storico e di via Aniello Falcone, e poi i semafori spenti, auto in doppia e tripla fila, parcheggiatori abusivi ancora padroni delle piazze, le centraline impazzite della Ztl, con tanto di pietoso nastro adesivo per coprire i display ubriachi che segnano «attiva» e «non attiva» ogni cinque minuti, come se fossero anche loro euforici per tutte queste riaperture, mentre Napoli, che ancora non ha ottenuto la «zona bianca» è già una città che non sa stare aperta. Ci ha messo meno di una iniezione di vaccino a tornare esattamente da dove era partita.

Quel caos tutt’altro che calmo che a qualcuno appare come un colorato segno di vita ma che, a ben vedere, come tutte le inefficienze, è un drammatico fattore che frena lo sviluppo, la crescita, l’espressione di potenzialità che la città avrebbe se sapesse essere una città. Cari, vecchi disservizi, ci siete mancati. O no? Ieri mattina la Funicolare di Montesanto è rimasta chiusa per ore. Motivo? Guasto tecnico. Fermo da tre giorni, invece, l’ascensore, con le scale mobili di Ventaglieri. 

Lenta e caotica, la circolazione sulla Linea 1 della Metropolitana, più tribolato del miracolo di San Gennaro il passaggio dell’agognato 140. E meno male che le scuole hanno fermato le lezioni, per un’estate arrivata troppo presto, altrimenti chissà cosa sarebbe stato del trasporto pubblico. Quello privato, tra la chiusura della Galleria Vittoria e i tanti cantieri (Capodichino, Agnano, Piazza Carlo III, via Nuova Poggioreale, Corso Europa), è una croce senza più devozione. 

In questo clima, il prossimo week end di caldo – con la riapertura, sebbene a numero scaglionato della Gaiola -, l’assalto ai lidi di Posillipo, l’assedio ai ristoranti del lungomare, insieme a quelli del centro storico che potranno usare anche i loro spazi interni, si annuncia ancora più caotico. E sulla scena tornano a fare capolino i turisti. È una buona notizia ma anche questa volta non siamo stati capaci di offrirgli altro che paesaggio, storia e cibo. Più o meno quello che Napoli mette a disposizione attingendo a risorse naturali e della tradizione, a prescindere da ogni struttura. Nessuna organizzazione, nessun progetto, pochissimi servizi.

Eppure si sapeva che sarebbe arrivato l’appuntamento con la riapertura.

Era atteso, desiderato, invocato da mesi. Il tempo – e perfino lo spazio, visto che la città semichiusa era diventata anche più ampia – c’era per mettere mano a qualche progetto di nuova città o di differente ripartenza. Si poteva utilizzare questa lunga pausa, da ottobre a oggi, con i vari passaggi che hanno limitato le presenze e le attività, per fare manutenzioni, organizzare sistemi, immaginare modi di stare insieme e anche di presentarsi ai turisti. Invece riapriamo come si fa con le vecchie case disabitate per un lungo tempo: togliamo i teli dai mobili e ci troviamo solo due dita di polvere e la malinconia.

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