La memoria a pezzi ​nella città senza futuro

di Vittorio Del Tufo
Martedì 5 Novembre 2019, 00:00
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Non solo i palazzi, gli alberi, i monumenti: sono tempi duri anche per la memoria. Parliamo della nostra memoria, la memoria di tutti, quella che fa da cemento all’identità collettiva di un popolo, di un territorio. 
La chiusura dell’archivio storico del Comune a salita Pontenuovo, che custodisce tutti i documenti prodotti a Napoli dal 1300 all’Unità d’Italia, è l’ultimo schiaffo alla nostra già lesionata memoria. Lesionata perché sottoposta a continui attacchi, e di varia natura. I segni del tempo. La malaburocrazia. I teppistucoli che oltraggiano i monumenti per cazzeggio puro, ovvero per pariare, senza conoscere un solo frammento della nostra (e della loro) Storia.

Certi archivi impolverati, come certi superbi palazzi, vorrebbero parlarci di un passato che è teatro della memoria viva, invece ci parlano solo di abbandono, di spettri, di degrado.
Da quattro anni lo stabile di fine ‘600 che ospita l’archivio storico del Comune è considerato a rischio crollo, e da quattro anni non si è provveduto ad alcuna ristrutturazione. Risultato: dipendenti trasferiti - raminghi in un mondo di carte che rischia di finire al macero - e servizio soppresso. Questa soppressione (o sospensione) della memoria ci rende tutti un po’ più poveri, perché è soprattutto negli indizi del passato che Napoli conserva (quando è in grado di decifrarli) i segni della propria ricchezza. Confrontare il presente con il passato, come ha scritto nei giorni scorsi Matteo Cosenza sul Corriere del Mezzogiorno, non serve solo per capire come eravamo, ma anche per cercare la direzione di marcia che dobbiamo seguire. In una città senza pianificazione, senza progetto, senza un’idea di futuro, la memoria è il bene prezioso al quale dovremmo ancorarci per non smarrirci del tutto. E invece, certe volte, di questa lesionata memoria non sappiamo più cosa farcene. L’abbiamo persa, e rischiamo di perderci.

La storia degli Archivi che cadono a pezzi non è dissimile da quella dei tesori negati, sprangati, chiusi a chiave. Fa pendant con l’allucinante, incredibile vicenda dei Girolamini, uno scrigno di tesori che in altri Paesi - che dispongono di meno bellezza, e meno Storia di noi - avrebbero valorizzato e messo al riparo dal degrado, dalla rovina. E invece, a Napoli, degrado e rovina sono diventati la regola. In fondo, i tour negati per la mancanza di personale, gli accessi con il contagocce alla biblioteca, i turisti (allibiti) rispediti a casa sono ascrivibili alla stessa, deprecabile causa: l’assenza pressoché totale di manutenzione. In una città dove non funziona la manutenzione delle strade, dei giardini, degli edifici storici, dei simboli monumentali, può mai funzionare la manutenzione della memoria? 

Restiamo per un attimo ai Girolamini. Il personale in servizio risulta oggi composto da dieci unità, e nemmeno tutte a tempo pieno. Con queste risorse ridotte all’osso come speriamo di vincere - dopo gli anni dei saccheggi e delle devastazioni - la sfida del riscatto? Quella dei Girolamini è una storia di crimini e di ritardi pagati da chi non ha alcuna colpa, cioè i cittadini e i turisti. Quel luogo, oggi trattato come un cadavere nel gelo di un obitorio, è indissolubilmente legato alla memoria di Giovan Battista Vico, che vi studiò. Fu Vico a persuadere i padri ad acquisire il fondo librario lasciato da Giuseppe Valletta, ovvero uno straordinario patrimonio di conoscenza e cultura attorno alla quale la biblioteca è cresciuta prima degli anni rapaci dei saccheggi, del mercato illegale dei libri.

I tour negati ai Girolamini e la chiusura degli archivi storici sono due facce della stessa medaglia. Come le pietre che rotolano dai monumenti del centro storico. È tollerabile che luoghi di così vitale importanza per la nostra cultura, per la nostra identità collettiva, vengano condannati a morte? È tollerabile che un archivio straordinario come l’emeroteca Tucci, con i suoi testi rarissimi ed esclusivi (chiamano finanche dal Wisconsin per consultare le collezioni) si arrabbatti da anni per sopravvivere, e tiri a campare solo grazie al contributo dell’ordine dei giornalisti e della Camera di commercio?

Chi da anni si batte per sottrarre all’oblio, alla damnatio memorie, il nostro patrimonio culturale sa quanto questo patrimonio sia fragile, e necessiti di una cura e una manutenzione costanti. È la stessa manutenzione che si richiede alla nostra memoria. Una città che non ha rispetto per il suo passato può autocelebrarsi all’infinito, ma non potrà sfuggire a un destino di rovina.
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