Diciamo la verità, di Patti per Napoli ne abbiamo visti parecchi. Ogni volta rimasti lettera morta, o riposti nell’affollato cassetto dei buoni propositi, in quel limbo di inconcludenza che ha trascinato la terza città d’Italia in un’eterna sala d’attesa, dove tutti i progetti restano al palo. Forse per troppo tempo, più che un patto (che presuppone regole precise: il patto è sempre uno scambio) abbiamo atteso, inseguito e invocato un intervento salvifico da parte dello Stato, spesso confondendo quest’ultimo con il bancomat di Pantalone. Stavolta è diverso perché l’occasione che si presenta - il premier Draghi sarà oggi a Napoli per la firma dell’accordo con il sindaco Manfredi - è irripetibile per almeno due motivi.
Innanzitutto si tratta di un piano strutturale, che si snoderà lungo un percorso di molti anni. Non un intervento occasionale, un maquillage estemporaneo per mettere una toppa al debito monstre da 5 miliardi che fa di Napoli una città in ginocchio sul piano economico e finanziario.
E nemmeno un generico segnale d’attenzione come ce ne sono stati tanti in passato, nonostante il predecessore di Manfredi abbia fatto di tutto per avvelenare i rapporti con le altre istituzioni. Stavolta l’impegno economico è, appunto, strutturale: il Patto prevede un contributo di un miliardo e 250 milioni di euro (in 21 anni) per Palazzo San Giacomo nell’ambito della ripartizione dei fondi destinati ai Comuni capoluogo delle Città metropolitane: Napoli, Torino, Reggio Calabria e Palermo. Il Comune dovrà garantire almeno un quarto del contributo con entrate proprie, fino al 2043. Insomma l’accordo anti-crac è blindato e non vi sono elementi per ritenere che possa essere cancellato o messo in discussione da futuri ripensamenti o nuove maggioranze di governo.
Ma il secondo motivo per il quale l’occasione che si presenta è irripetibile risiede nella natura stessa del patto che Draghi e Manfredi sigleranno oggi al Maschio Angioino. L’impegno sarà reciproco, e a fronte dei soldi in arrivo bisognerà mettere in campo interventi seri, concreti e fattuali per disboscare quella fitta foresta di inefficienze che soffoca la città rendendo impossibile ogni slancio virtuoso e dunque ogni rilancio. Insomma il Comune deve fare la sua parte: in termini di ammodernamento ed efficientamento della macchina comunale, di miglioramento della capacità di riscossione, di decoro urbano, di gestione produttiva del patrimonio immobiliare e così via. Proprio ciò che è mancato negli ultimi anni.
Insomma la stagione degli alibi è finita ed è un bene che l’applicazione del patto per Napoli sia legata all’adempimento, da parte dell’amministrazione comunale, di impegni non più rinviabili.
Occorre, per prima cosa, un segnale forte sul fronte dei servizi. Napoli è una città che ha visto precipitare, negli ultimi anni, tutti i parametri relativi alla vivibilità, al decoro urbano, all’efficienza dei trasporti pubblici. Una città nella quale si continua a pagare, per dirne una, la tassa rifiuti più salata d’Italia a fronte di un servizio di raccolta e spazzamento che in alcuni quartieri è semplicemente indecente. Fatti. Ad attenderli sono soprattutto i cittadini, che pagano ogni giorno un prezzo altissimo alla drammatica situazione finanziaria del Comune. E invocano, dopo gli anni fumosi e parolai di De Magistris, una sola rivoluzione: quella della normalità.