«Quelle vacanze a Bacoli
e l’odore delle “pummarole”»

di Antonio Menna
Domenica 24 Luglio 2016, 01:32
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Quando dice «pummarulella» la lingua di Vincenzo Salemme non solo lascia il rassicurante italiano, ma si stacca anche dal napoletano e si avventura in quella variante acustica che è l’inflessione flegrea (anzi di Bacoli): una giostra di accenti su cui può salire solo chi è nato lì, come lui . «Che nostalgia: Miseno, Miliscola, in estate ci penso tutti i santi giorni», dice l’attore e regista, impegnato in queste settimane sul set del nuovo film di Vanzina. «Una commedia dal titolo “Non si ruba a casa dei ladri”, il mio personaggio mi piace molto. È pieno di umanità. E si ride molto».

La gente vuole solo ridere?
«La gente vuole ridere, come diceva una mia vecchia commedia. Ma vuole anche emozionarsi. Divertirsi ed emozionarsi».

Quanta malinconia c’è in chi deve far ridere?
«Tanta, ma è l’uomo in sé ad essere malinconico. Nasciamo e moriamo, come facciamo ad essere allegri? Siamo tutti tristi. Per questo dobbiamo ridere. Godersi la vita è un bisogno che solo un malinconico può capire.

Sei nato e cresciuto a Bacoli, il tuo rapporto con l’estate sarà totale.
«Non ci voglio pensare. Altrimenti mi viene da piangere. Io appartengo alla generazione dei cento bagni».

Che significa?
«Da ragazzo noi avevamo una sfida con noi stessi. Dovevamo farci almeno cento bagni a mare. Uno al giorno».

Il primo quando?
«Il lunedì in Albis, a Pasquetta. Tassativo. A volte capitava ad aprile, altre volte a marzo. Ed erano dolori: l’acqua di Miseno, a marzo, sotto la Dragonara, era gelida. Ma bisognava buttarsi. Così tutta l’estate. Almeno un bagno al giorno».

La spiaggia flegrea preferita, da ragazzino?
«In verità non ero un tipo da spiaggia. Io amavo remare. Prendevo ‘a lancetella, una piccola barchetta di legno. Remavo per ore e poi al largo mi buttavo. Come vorrei farlo mo’ mo’...».

Da quanto tempo non ti capita?
«Da molto. Purtroppo e per fortuna sono un po’ famoso e oggi sarebbe impossibile scendere al mare così, nell’anonimato, nella solitudine. Ma vulesse turnà ragazzo solo per togliermi questo sfizio. O per risentire quegli odori dell’estate».

Quali?
«Uno su tutto, ‘a pummarulella di Bacoli. Un profumo e un sapore che riconoscerei ovunque. Un pomodoro che sa di acqua di mare, solo noi li teniamo così. Lo cominci a sentire già a maggio, nell’aria. E poi il basilico. Per finire ad agosto, con le bottiglie fatte in casa». 

Le passate di pomodoro?
«Un rito familiare e collettivo. Quelle passate e quelle con le pellecchie. Tutti riuniti per fare le bottiglie. Poi ricordo anche un altro odore, meno bello».

Quale?
«Quello di salvagenti, materassini e canotti, che la ferramenta sotto casa vendeva ai bagnanti delle spiagge di Bacoli e teneva appesi sotto il mio balcone. Lo scirocco mi portava l’odore sul letto dove riposavo. Una plastica che sapeva, pure quella, di vacanza». 

Estati da bambino sempre a Bacoli?
«Tranne due volte. Mio padre aveva qualche problema di salute, in particolare ai reni e al fegato e per due estati ci fece la sorpresa».

Cioè?
«Tutti a Chianciano terme. Un dramma familiare».

Perché? È Brutta?
«No, per l’amor di Dio. È che nessuno di noi voleva lasciare gli amici e i posti del cuore. Ma mio padre voleva fare le terme e tutta la famiglia, un poco controvoglia, partì. Mamma cominciò il conto alla rovescia fin dal primo giorno. Partimmo con una Seicento carica all’inverosimile, sull’autostrada, coi finestrini abbassati. Una scena classica. Ma che bella Italia, ora che ci penso».

Com’era?
«Era spensierata e gioiosa. Parlo degli anni Sessanta e Settanta. Quanto ottimismo, quanta voglia di vivere. I ragazzi avevano fiducia nel futuro. I genitori si erano lasciati alle spalle i momenti più brutti. Eravamo tutti pieni di amore. La musica, il cinema, gli attori: tutti belli. E quando una persona se ne andava, c’era una commozione popolare sincera, profonda, di tutti».

Oggi, invece, che Italia vedi?
«Rassegnata. Ma mi credi se dico che non vedo nessuno che parta felice per le vacanze. Pure chi va via, pure chi fa un viaggio, sembra che abbia un timore nel cuore, un peso. Abbiamo paura».

Il terrorismo, la crisi?
«Sicuramente ma non solo. Forse abbiamo paura di noi stessi, dell’umanità perduta. È un fatto interiore, un’angoscia per come ci siamo ridotti. Ma nun ce pensamm’. Torniamo a parlare di Bacoli».

Ne hai davvero nostalgia.
«In estate ci penso tutti i santi giorni. L’odore di sale nell’aria, la sabbia addosso». 

Puoi tornarci quando vuoi.
«Certo, ci vado, eh, ci mancherebbe. Ma io rivoglio quell’estate lì, di quando ero ragazzo e non pensavo a niente. Rivoglio i miei amici, quelli con cui giocavo a pallone in terra alla rena, fino al tramonto».

Oggi come sono le tue estati?
«Appena sono libero dal lavoro, ho un mio rifugio. Non è bello come Bacoli ma ha per me un valore».

Dove si trova?
«In Toscana, a San Casciano dei Bagni, un piccolo comune in provincia di Siena». 

Vicino a Chianciano.
«Mo’ che ci penso, è vero! Si vede che era destino».

Un viaggio all’estero che ricordi con piacere?
«New York, nel 1998. Era appena uscito “L’amico del cuore”. Una città meravigliosa, una bambina che nasce ogni giorno. Sempre a teatro. Musical a Broadway. Chiamami pazzo, ma per me New York è uguale a Napoli».

Un pensiero fisso.
«Napoli è la mia passione. E parlo della grande Napoli, con dentro tutta la provincia, allargata anche ai Campi flegrei, la meraviglia delle meraviglie. Abbiamo un tesoro».

Ce ne rendiamo conto?
«A volte pare proprio di no. La terra flegrea, per esempio, è archeologia viva. Potremmo usare i monumenti, rispettandoli, come teatri a cielo aperto. Mi piacerebbe inventarmi qualcosa: la Solfatara, la Piscina Mirabilis che è una cattedrale, bellissima, perfetta. Magma sotto, storia sopra. Il pensiero mi riporta bambino, tra le braccia di mia mamma».

Questa è la prima estate senza di lei.
«È stato un anno terribile. Ho perso tante persone care. Anche il mio amico Luca De Filippo. E poi, mamma. Per un maschio è una mancanza totale. Che esista la morte, lo sappiamo tutti. Ma che esista davvero, lo capisci solo quando perdi tua mamma. La sua partenza è stata l’emozione più profonda che io abbia provato».

Cosa ti manca di più?
«Quando tenevo un catarro e pensavo che fosse un tumore, hai presente queste cose che noi maschi conosciamo bene? Ecco, in quei momenti mi tranquillizzava solo la voce di mamma che diceva “è cosa ‘e niente”. La voce della mamma che toglie al figlio ogni ansia. Ma tu la sai una cosa?»

Dimmi.
«Io la chiamo ancora ogni giorno. Faccio il numero e poi attacco».
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