Recovery e Mezzogiorno: l’impegno di spesa del 40% sarà blindato da una norma

Recovery e Mezzogiorno: l’impegno di spesa del 40% sarà blindato da una norma
di Marco Esposito
Giovedì 15 Luglio 2021, 23:30 - Ultimo agg. 16 Luglio, 18:46
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Il problema c’era. Al punto che si sta trovando una soluzione. Il tema è quello, annoso, degli impegni per il Mezzogiorno, da sempre straordinari al momento degli annunci e poi mediocri negli esiti. Nel Recovery Plan l’obiettivo di ridurre i divari territoriali è esplicito e tuttavia ancora una volta, come ha sottolineato il 6 luglio sulle colonne di questo giornale l’economista Gianfranco Viesti, dall’analisi dettagliata degli 82 miliardi dichiarati come obiettivo complessivo del Pnrr c’è traccia, se si scorrono le singole misure, solo di 35 miliardi. Il resto - la gran parte - è affidato alla lotteria dei bandi.

Un tema reale, al punto che ieri al Senato la ministra per il Sud Mara Carfagna, in risposta a una interrogazione della parlamentare di M5s Sabrina Ricciardi che citava appunto l’analisi di Viesti sul Mattino, ha delineato la soluzione: «A breve - ha detto Carfagna - presenteremo un emendamento al decreto legge Governance perché sia assicurata l’allocazione di almeno il 40% delle risorse al Pnrr alle Regioni meridionali tramite bandi: sarà un vincolo di destinazione territoriale fissato con una norma».

La ministra del Sud e della Coesione territoriale rispondendo al question time a Palazzo Madama ha auspicato che quanto ai dubbi sollevati sulla quota reale per il Mezzogiorno del Recovery «le incomprensibili strumentalizzazioni lascino spazio a un impegno condiviso». Carfagna ha quindi ribadito che «l’importo finale del 40% è un risultato credibile e robusto, lo dicono gli uffici della Commissione Ue che hanno confermato che la quota non sarà inferiore in investimenti. Questi ultimi e le riforme devono essere realizzati come stimato e dobbiamo accompagnare gli Enti locali meridionali nei bandi di gara». E ancora: ci sarà un «monitoraggio puntuale» e se il risultato minimo del 40% non sarà raggiunto, l’impegno del governo è di individuare azioni «compensative e correttive». 

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Per farlo, però, occorrono strumenti normativi, da cui la revisione della Governance del Pnrr. Ma perché il sistema dei bandi è rischioso per il Sud? Perché mette all’asta i diritti dei cittadini, con una gara in cui tende a vincere chi parte da posizioni di vantaggio. L’esempio più vistoso è proprio il primo bando del Pnrr, quello da 700 milioni relativo all’edilizia scolastica, la cui graduatoria è già in fase di compilazione. I Comuni hanno presentato entro il 21 maggio proposte progettuali per asili nido e scuole per l’infanzia tuttavia i criteri del bando hanno, in maniera tanto arbitraria quanto illogica, mescolato Comuni svantaggiati e avvantaggiati (al punto che Reggio Emilia e Reggio Calabria fanno parte del medesimo elenco) e hanno stabilito punteggi premiali per i Comuni con i soldi in cassa, in grado cioè di cofinanziare i progetti. Il tutto può essere utile a “scoprire” che in Emilia girano più soldi che in Calabria, ma di certo non aiuta a creare un’Italia più equa proprio a partire dal diritto dei più piccoli (e delle loro famiglie) ad avere un posto all’asilo nido, ovunque siano residenti.

Il tema è quanto mai sentito e ieri una pattuglia di sindaci del Sud è andata a Bruxelles per chiedere una distribuzione dei fondi Next Generation Eu più equa, che porti al raggiungimento dei massimi livelli di coesione economica, sociale e territoriale. La Rete dei Sindaci del «Recovery Sud», corredata da 39 firme tra cui il sindaco di Acquaviva delle Fonti (Bari) Davide Carlucci, ha presentato una petizione all’apposita commissione del Parlamento europeo. Secondo i firmatari, la priorità nello stanziamento dei fondi comunitari dovrebbe essere riservata alle regioni più svantaggiate, al fine di ridurre le disparità e alleviare l’impatto socio-economico della pandemia. Inoltre, chiedono che il 70% del totale delle risorse venga assegnata al Sud.

La risposta della Commissione Ue è stata che per il Fondo di ripresa e resilienza, a differenza di quelli di Coesione, «i legislatori hanno deciso che l’unità di riferimento è lo Stato membro» e che quindi non esiste un vincolo minimo territoriale (concetto ribadito ieri in Senato da Carfagna) anche se le raccomandazioni specifiche, come quelle per il Sud, sono tenute in considerazione. In attesa di «un accordo operativo che sarà negoziato con il governo italiano e che fisserà ulteriori dettagli sulla portata geografica di alcune misure contenute nel piano», la petizione al Parlamento europeo resta quindi aperta.

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