Riina e la falsa democrazia di Facebook

di Titti Marrone
Mercoledì 22 Novembre 2017, 23:13
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Facebook chiede scusa ai familiari di Totò Riina per aver rimosso i messaggi di cordoglio per la sua morte e ne assicura il ripristino. Ovvero, l’illusione internettiana di democrazia totale si trasforma a volte in tritacarne di storie e può produrre sofferenze o soprusi, con effetti a dir poco grotteschi. Come assolutamente grottesche suonano le scuse indirizzate da un portavoce di Facebook ai familiari di Totò Riina per l’eliminazione provvisoria dal web di tante condoglianze fioccate in giro e ampiamente condivise tra fans del «capo dei capi».

Scuse - proprio così, lo scrivo per la terza volta perché suona incredibile - seguite da promesse d’immediata ripubblicazione riparatoria degli stessi messaggi inneggianti al boia di Capaci e via D’Amelio. Per tranquillizzare i familiari dell’uomo capace di concepire l’uccisione di un bambino e il suo scioglimento nell’acido, è sceso in campo un autorevole portavoce del social network, che si è preoccupato di specificare all’Associated Press: «I post erano stati eliminati per sbaglio». Il tutto è avvenuto nelle ore della sepoltura blindata del boss a Corleone mentre, contemporaneamente, in Calabria cinque Comuni, tra cui Lamezia Terme, venivano sciolti per mafia.
I necrologi sono confluiti in abbondanza subito dopo la morte di Riina sulla pagina Facebook del suo terzogenito Salvo, diventato famoso dopo l’exploit dell’ospitata a «Porta a porta» dove gli venne dato modo di elogiare ampiamente il padre presentando il suo libro celebrativo su di lui. Espressioni come «Buon viaggio zio Totò» o «Riposa bene, grande capo» sono state ampiamente condivise, condite da innumerevoli like, faccine e immancabili piogge di cuoricini. Ma non sono mancate le proteste degli utenti di Facebook che, sentendosene giustamente offesi, hanno segnalato «violazioni di standard di Facebook» sollecitandone la rimozione.
A dire il vero, ancor prima che Riina esalasse l’ultimo respiro era stato tutto un postare commenti di solidarietà da parte di centinaia di utenti, vicini al «povero Salvuccio» ritenuto socialmente pericoloso e impossibilitato ad accorrere al capezzale del papino morente causa libertà vigilata. E già ai primi bollettini medici, i fiancheggiatori digitali del boss dei boss si erano messi a comporre commossi i loro pensierini liberi nel libero spazio virtuale.
Fatto sta che - ha spiegato il rappresentante del social network - non contenendo termini o passaggi esplicitamente apologetici nei confronti della mafia, i necrologi venuti dopo risultano essere assolutamente in linea con la sua «policy». Perché non violerebbero assolutamente le regole di Facebook, che prevede di bannare quei contenuti «che esprimono sostegno ai leader di organizzazioni coinvolti in comportamenti violenti, attività terroristiche o organizzazioni criminali». Ecco perché – diamine – i vari «Addio zio Totò», «Che la terra ti sia lieve» ecc. ecc., così come uscirebbero assolti da qualche algoritmo posto a filtrare i contenuti, per i responsabili del social hanno piena cittadinanza nella rete: e al posto del «visto si stampi» di un tempo, oggi “visto si posti.
Non sfugge a nessuno come tutto questo sia pazzesco. Perché non si può affidare a un algoritmo o a qualche staff di tecnici il compito di gestire lo spazio virtuale come una zona franca di totale deresponsabilizzazione. Né è lecito confondere la libertà d’espressione con l’ingiuria alla morte di servitori dello Stato come Falcone e Borsellino. E nemmeno concepire il web come l’hegeliana notte in cui tutte le vacche sono nere, dove un commento sul feroce «zio Totò» ha la possibilità di transitare tranquillamente e passare da un utente all’altro, come qualsiasi necrologio innocente. Non è pensabile che i social non abbiano saputo o voluto fermare né rimuovere la gogna vigliacca che ha provocato il suicidio della ragazza Tiziana Cantone, e invece ci si preoccupi di ripristinare i post per «zio Totò». Non può essere che, alla tastiera, chiunque si ritenga legittimato a sparare qualsiasi bestialità, trincerandosi dietro categorie come democrazia o eguaglianza, e lanciando parole che possono far male più delle pietre.
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