Se sulle Vele resta l'ombra di Gomorra

di ​Bruno Discepolo
Venerdì 14 Aprile 2017, 23:57
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C’è un’immagine, a corredo del progetto di fattibilità denominato Restart Scampia, che ben sintetizza lo stato attuale della vicenda delle Vele, non meno che del dibattito che continua a dividere cittadini, architetti, amministratori pubblici o semplici commentatori: in questo fotomontaggio si vede una delle Vele, ripulita e restituita alle sue esuberanti forme originarie, immersa in un parco verde, e sul prato che la contorna una coppia di ragazzi intenti ad allestire un pic-nic, mentre altri passeggiano o vanno in bicicletta. 

Quanto questa rappresentazione contrasti con l’assunto principale dell’intero progetto è facile dedurlo, visto che il punto di partenza è stato l’impossibilità di recuperare a nuova vita gli edifici progettati da Franz Di Salvo, ragione per la quale si è deciso di demolirli, a meno di un unico esemplare, la Vela B o Azzurra, come viene chiamata, da salvare come testimonianza di un’epoca, una intenzionalità progettuale, una stagione dell’architettura e dell’urbanistica, non solo italiana. Poiché, peraltro, è stato stabilito che, prima di trasformarsi nella sede della Città Metropolitana e di altre nuove funzioni, perlopiù pubbliche, la Vela superstite ospiterà provvisoriamente un consistente numero di famiglie, continuando a vivere come edificio residenziale, è comprensibile che lo sforzo degli autori di quell’immagine sia stato quello di dimostrare la compatibilità tra quella architettura e un’idea di ambiente e contesto sostenibile.

La contraddizione che emerge, da quest’episodio marginale eppure rivelatore, e che non è nemmeno imputabile agli attuali amministratori o tecnici comunali, origina da scelte e prese di posizione che vengono da lontano e si sono stratificate nel tempo, anche se le più recenti vicende legate alla saga di Gomorra sembrano aver assestato il colpo definitivo. Se nel film di Salvatore Piscicelli, «Le occasioni di Rosa», l’incedere prepotente di Marina Suma, con sullo sfondo lo zigurat di Scampia, ancora voleva rappresentare il contrasto tra una condizione umana, un contesto sociale ed il tipico habitat periferico delle metropoli moderne, con il film di Garrone e la serie tratta da Saviano le Vele assurgono ad emblema del Male assoluto, rappresentazione plastica e visiva di un universo deviato, portatore di valori negativi, di un’umanità irrecuperabile ad una condizione di civile convivenza.

Figurarsi, dunque, se era ancora possibile battersi per affermare le ragioni di un progetto architettonico, a suo tempo esemplare, estraneo alle vicissitudini ed errori accumulatisi successivamente e all’origine dei guasti e fallimenti di cui oggi parliamo. Ma anche a voler prescindere da una discussione tutta rivolta alla qualità architettonica dei manufatti (e senza voler rimarcare più di tanto la differenza abissale tra l’ispirazione di Di Salvo e l’adesione ad un’architettura della grande dimensione e lo sconforto degli anonimi episodi edilizi che hanno sostituito in questi anni le prime Vele abbattute) l’impossibilità di riaprire un confronto sereno sulla opportunità di rigenerare in tutto o in parte quelle strutture, dando loro una seconda chance di vita, strada ormai intrapresa prioritariamente in quasi tutti i paesi del mondo, ha comportato la responsabilità di concludere un più che decennale dibattito e dare avvio alla fase realizzativa. Che giunge a compimento in queste ore, dopo l’annuncio dell’altro giorno del ministro De Vincenti e del sindaco de Magistris dell’attivazione delle risorse per Scampia previste nell’ambito del Patto per Napoli, con il finanziamento di 20 milioni stanziati dal Piano delle Periferie. Ma anche con la pubblicazione, ieri, del bando per la progettazione esecutiva che dovrà precedere la fase di selezione dei soggetti imprenditoriali chiamati ad attuare l’intervento.

Dei quali milioni, ben 16 sono destinati a recuperare la Vela Azzurra, come fase transitoria e propedeutica alla sua trasformazione in attrezzatura pubblica. Scelta, questa, che legittima il sospetto che una volta spesi tutti questi soldi ed insediati gli abitanti, sarà molto difficile procedere davvero verso la seconda fase. Pure la soluzione di salvare una sola Vela desta più di una perplessità, legata quella tipologia edilizia come era ad un modello insediativo ripetuto nello spazio ed in futuro svilita come una sorta di lacerto, di reliquia sopravvissuta alla distruzione e, a suo modo, musealizzata. In questo senso, e con uno spirito propositivo, si sono levate, ancora nei giorni scorsi, voci autorevoli che invitavano l’Amministrazione ad una parziale modifica del programma. Nessuno vuole sottacere, sul punto, i meriti di Sindaco e assessori, in primo luogo di quello alle Politiche urbane, Carmine Piscopo, che hanno concretizzato, dopo anni e anni di discussione spesso inconcludente, un progetto che ora muove i primi passi. Ma i meriti sarebbero ancora maggiori se, con disponibilità e reale apertura al confronto, dimostrassero che alcuni suggerimenti e proposte venute dal mondo delle competenze e della cultura, potrebbero essere accolti e così migliorare ancora il programma di Restart Scampia. D’altra parte, se è vero che oggi la sola riproposizione dell’immagine di una Vela evoca l’identificazione con Gomorra, e la Napoli criminale e camorristica, quale sarebbe la ricaduta positiva e l’impatto di una rinnovata rappresentazione della città, riscattata e avviata verso un destino diverso, per il mezzo di una o più Vele recuperate e trasformate davvero in un habitat moderno e civile, magari anche con le famiglie intente a fare merenda sui prati di Scampia?
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