Lo sfogo del papà: «A mio figlio negarono anche l’autopsia»

di Mary Liguori
Giovedì 5 Maggio 2016, 00:14
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 «Voglio solo sapere la verità, voglio giustizia per mio figlio e se qualcuno continua ad agire indisturbato in quel palazzo e fa male ad altri bambini deve essere fermato dai carabinieri». Gennaro Giglio, padre del piccolo Antonio, precipitato nel 2013 dallo stesso palazzo di Fortuna Loffredo, chiede che alla luce di quanto emerso durante le ricerche dell’assassino della piccola di sei anni, si sappia la verità anche sulla fine del suo bambino, morto a quattro anni dopo essere volato giù dal settimo piano della palazzina in cui viveva con la madre, Marianna Fabozzi, arrestata a sua volta con l’accusa di avere coperto Raimondo “Titò” Caputo, il convivente finito in prigione prima per avere seviziato le figlie della donna poi per avere violentato e ucciso la piccola Fortuna.


 Signor Giglio, il suo bimbo è morto tre anni fa, perché solo ora chiede la verità?

«Ci ho provato in questi anni, ho chiesto quel giorno stesso che su Antonio venisse fatta l’autopsia, ma mi fu risposto che era inutile straziare il suo corpicino, già dilaniato dalle ferite dovute alla caduta. In quel momento ero frastornato, mi sembrava un incubo e poi la mia ex moglie e la sua famiglia mi hanno estromesso da tutto. Pensate che mi è proibito anche andare sulla tomba di Antonio al cimitero e piangere per lui».

E alla sua ex moglie, non ha mai chiesto cosa accadde quel giorno? Una donna l’accusa di aver spinto giù il bambino…

«Sia lei che sua madre si sono sempre rifiutate di darmi spiegazioni, come se non avessi il diritto di sapere, come se Antonio non fosse stato anche mio figlio. Pensate che quando il bambino è caduto io non lo vedevo da una settimana e mi negavano anche di incontrare le mie bambine. Marianna e i suoi fratelli quel giorno mi aggredirono, mi minacciarono di morte, mi dissero di non fare domande e di non avvicinarmi alla loro casa. Io già vivevo qui ad Afragola con i miei genitori ma avrei voluto avere incontri con i miei figli, me lo hanno sempre proibito con minacce e percosse».


Aggressioni e minacce da parte dei suo familiari acquisiti. Per quale ragione?

«In quel momento non capivo, credevo che fosse solo rancore per la fine della nostra relazione. Ma a questo punto penso che volessero coprire qualcosa, qualcuno, solo ora riesco in parte a spiegarmi il loro atteggiamento. Mi dissero che se provavo ancora ad avvicinarmi a loro mi avrebbero ucciso e che sarei andato a fare compagnia a mio figlio al cimitero, che mi avrebbero fatto la tomba accanto a lui».

Antonio aveva quattro anni, la mamma ha sempre sostenuto che cadde dalla finestra mentre si sporgeva per guardare un elicottero che in quel momento passava nel cielo. Lei cosa ricorda di quel giorno in cui precipitò?

«Mi chiamò la sorella di Marianna (Fabozzi, ndr) e mi disse che si era fatto male e che dovevo andare al Santobono. Mi precipitai lì con uno dei miei fratelli e solo quando arrivai in ospedale seppi che il mio bambino era morto. Da quel momento aggressioni e minacce, mi tennero fuori da tutto, mi negarono anche di andare al funerale. Minacciarono me e i miei fratelli, più di cinquanta persone ci accerchiarono con delle mazze e ci dissero di non avvicinarci più a loro e di non andare alla messa».

E in questi anni? Qual è stato il suo rapporto con le sue figlie, le bimbe che Raimondo Caputo avrebbe molestato?

«Prima me le lasciavano vedere, ma da quando Caputo è arrivato in quel palazzo non si è capito più niente. Certo non potevo immaginare cosa stesse succedendo. Ora non le vedo dal mese di settembre, ma non è giusto, sono le mie figlie e sto cercando un lavoro per poter chiedere l’affidamento».

La sorella di Caputo dice di aver visto Marianna Fabozzi gettare il bambino dalla finestra, lei crede che la sua ex possa essere stata capace di fare una cosa del genere?

«Lei mi odia ma non so se possa essere arrivata a tanto, forse si è solo distratta in quel momento, la verità la sa solo lei ma a questo punto deve dirla e tutte le persone che sanno qualcosa sulla morte del mio bambino debbono passarmi una mano sulla coscienza e andare a dire tutta la verità».

Le indagini dunque vanno riaperte?

«Sì, ho il diritto di sapere cosa è successo al mio Antonio, era un bimbo dolcissimo era la mia vita, lo portavo in giro con l’Ape Car lui spesso era con me anche dopo che mi ero separato da sua madre. Non posso vivere nel dubbio che se ci sono state responsabilità nessuno paghi per la morte di un bambino innocente di quattro anni».

La procura ha disposto nuovi accertamenti, si ipotizzano molestie anche su Antonio visto ciò che è emerso nel corso delle indagini sugli altri bimbi coinvolti..

«Mi sono affidato all’avvocato Angelo Pisani perché mi aiuti e supporti me e la mia famiglia in questo momento così difficile.
Siamo frastornati e non riusciamo a sopportare l’idea che ci siano persone capaci di fare così tanto male a bambini indifesi. Ci sembra un incubo. Io e i miei genitori, i miei fratelli e le mie sorelle ci costituiremo parte civile in qualsiasi procedimento verrà aperto da questo momento in poi. Fino ad ora ho avuto paura per le minacce subite, ma adesso sono pronto a guardare avanti e a chiedere a gran voce giustizia. Vogliamo la verità, chi sa parli. Hanno il dovere di dire tutto nel rispetto dei bimbi coinvolti, non solo di Antonio e Fortuna. Il mio piccolino ha il diritto di riposare in pace e ciò che gli è realmente successo deve venire fuori. Da domani mi sentirò libero anche di far visita alla sua tomba, dopo che mi è stato negato anche il diritto di piangere in questi tre anni».
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