La doppia cura che serve ai due Sud

di Enrico Del Colle
Mercoledì 4 Agosto 2021, 00:02 - Ultimo agg. 06:00
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Mentre l’economia italiana sembra aver imboccato la strada giusta della ripresa – il Pil del secondo trimestre è stimato in rialzo del 2,7% rispetto al primo (fonte Istat) e l’occupazione è in continua crescita dall’inizio dell’anno, con un tasso (57,8%) risalito ai livelli di inizio pandemia – non appare avviato, invece, quel tanto atteso e desiderato riallineamento economico (e sociale) delle diverse realtà territoriali del Paese; infatti, siamo sempre al cospetto di situazioni che vedono il Sud incapace di ridurre le distanze rispetto alle altre parti del Paese. Non che il fatto ci sorprenda più di tanto visti i molti anni trascorsi a dibattere sull’argomento e sulle necessarie e adeguate misure d’intervento, ma in una fase di crescita sostenuta, come l’attuale, e soprattutto alla vigilia dei primi provvedimenti facenti capo al Pnrr, ci si aspetta un segnale in tale direzione che sembra non arrivare.

L’ultimo rapporto Svimez sull’economia delle regioni italiane, infatti, prevede per il biennio 2021-2022, una ripresa diseguale tra le aree del Paese, con un gap che tende ad ampliarsi tra il Nord ed il Sud. Non deve sfuggire, però, un aspetto non sempre ritenuto prioritario, ovvero la disomogeneità interna allo stesso Sud che ne consiglia non uniche “ricette”, bensì interventi differenziati e indirizzati verso i territori più in difficoltà.

Qualche espressivo numero a sostegno, a cominciare dalla dipendenza economica del Sud prima del virus. Misurata per ogni regione dal rapporto percentuale tra la differenza import meno export (con le altre regioni e con l’estero) ed il proprio Pil, era sfavorevole per tutte le regioni. Cioè prevalevano le importazioni, con marcate differenze tra le regioni (si va dal 5% e 9% circa dell’Abruzzo e della Basilicata, al 36% della Calabria, passando per valori intorno al 25% per Molise, Sicilia e Sardegna, mentre Campania, Puglia si attestano su valori intorno al 15%, fonte Istat); al contrario, il Nord mostrava una situazione favorevole (con le esportazioni superiori alle importazioni per un valore di circa il 7%).

Tale ritardo del Sud appare ancora più pesante considerando la forte ripresa in corso delle esportazioni a livello globale, che andrebbe agganciata immediatamente.

Se spostiamo l’attenzione verso gli investimenti fissi – altro aspetto rilevante della crescita economica di un Paese - si rafforza l’idea dell’accentuata difformità del territorio meridionale: a fronte di una situazione che vede l’Italia “dedicare” il 18% circa del Pil agli investimenti (Nord il 20%, Centro il 17% e Sud il 16%), le differenze all’interno delle regioni del Sud sono alquanto significative; infatti, l’Abruzzo, il Molise e la Basilicata raggiungono valori intorno al 20%, la Campania, la Puglia e la Sardegna circa il 16%, mentre la Calabria e la Sicilia non vanno oltre il 15%.

Poi c’è il sempre vivo problema dell’occupazione – molto sentito soprattutto dalle famiglie – la cui realtà territoriale vede il Sud in forte difficoltà: assunto quale indicatore di riferimento la disoccupazione di lunga durata (quota di persone in cerca di occupazione da oltre 12 mesi sul totale di coloro che cercano lavoro), osserviamo come all’inizio di quest’anno essa sia pari al 40% nel Nord, al 47% nel Centro e ben il 63% nel Sud; all’interno di quest’ultima ripartizione le differenze sono sostenute, muovendo dal valore più basso in Abruzzo, Basilicata e Sardegna (circa il 50%, cioè una persona su due cerca lavoro da più di 12 mesi) al valore più alto presente in Calabria, Campania e Sicilia (circa il 66%, ovvero due persone su tre), con Puglia e Molise appaiati intorno al 60%.

Tutto ciò tende a spiegare non solo il diseguale livello di disagio, ma anche la diversa soglia di povertà che caratterizza i territori meridionali (a conferma basta ricordare il massiccio e diversificato ricorso al Reddito di Cittadinanza). Insomma, è giunto indifferibilmente il momento di andare oltre le riflessioni e calarsi nella realtà agendo su un doppio binario: ridurre le distanze interne, anche con processi autopropulsivi, per poi attuare i progetti programmati tramite una stretta collaborazione tra le regioni meridionali, non sempre realizzata nel passato; soltanto con questo doppio binario d’intervento si può favorire il risanamento del Sud.

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