Crisi Ucraina e borse, i timori degli analisti: «Tutto dipende da durata e area della guerra»

Crisi Ucraina e borse, i timori degli analisti: «Tutto dipende da durata e area della guerra»
di Nando Santonastaso
Domenica 20 Febbraio 2022, 00:00 - Ultimo agg. 21 Febbraio, 07:22
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L’impennata del prezzo dell’oro (1.900 dollari a oncia, il massino da giugno) era praticamente annunciata. Quella del petrolio – fino a 100 dollari al barile – potrebbe seguire a ruota. Per non parlare delle Borse, a partire da Milano: «Nella mattinata di lunedì scorso la profonda crisi geopolitica tra Usa e Russia sul nodo Ucraina ha gettato nel panico i mercati azionari con pesanti perdite, rientrate parzialmente nel pomeriggio dopo l’apertura del ministro degli Esteri russo Lavrov circa la possibilità di negoziati tra Usa, Nato e Russia» dice Ciro Pietroluongo, direttore generale del Mercato Telematico dei titoli di Stato di Euronext. I venti di guerra soffiano forte ma gli analisti finanziari e bancari non sono tutti concordi nel ritenere che un eventuale conflitto tra Ucraina e Russia porterà «comunque» ad una catastrofe economica e, appunto, finanziaria. Dipenderà molto, si osserva, dall’ampiezza dell’area che ne sarà coinvolta e dalla sua durata. Nel 2014, quando per l’annessione della Crimea i due Paesi hanno già imbracciato le armi, le conseguenze non furono ad esempio di questa portata, ricordano gli analisti di Bluerating: «Nel periodo più acuto della crisi, da febbraio a marzo 2014, si osserva un calo delle azioni russe, mentre le azioni britanniche, europee e statunitensi non mostrano una risposta significativa». Allora però gli Usa furono molto meno attivi di oggi e, soprattutto, non c’era l’attuale fortissima impennata dei prezzi delle materie prime e del costo dell’energia che a molti esperti fa parlare di «tempesta perfetta», con l’aggravante del possibile rialzo da marzo dei tassi Fed. Ma, insiste Bluerating, «negli ultimi anni i rischi geopolitici non hanno condizionato più di tanto i mercati finanziari globali. I mercati azionari sono generalmente cresciuti nonostante una lunga lista di potenziali preoccupazioni, o titoli: “Russia”, “Siria”, “Iran/Medio Oriente”, “Cina/Taiwan”, “Nuova Guerra Fredda”, “Corea del Nord” ecc. Nessuna di queste questioni può considerarsi risolta, ma i mercati finanziari sembrano credere che uno scenario molto negativo in questi teatri sia improbabile o, forse, che la molta liquidità in circolo prevalga su tutte le altre considerazioni».

Che i timori si sprechino, però, è un dato di fatto. Unicredit, che secondo Radiocor (su report di Credit Suisse) è tra le primissime banche internazionali impegnate in Russia, ha rinunciato ad acquisire una quota di controllo della banca russa Otkritie perché, come spiegato dall’ad Andrea Orcell nella conference call con le agenzie di stampa, il gruppo bancario avrebbe corso un rischio troppo alto vista la situazione di grande tensione geopolitica per la crisi russo-ucraina. «In caso di invasione russa – dicono Alberto Gallo e Gabriele Foà, portfolio managers di Algebris Global Credit Opportunities Fund – si può prevedere subito un forte aumento di prezzo di petrolio ed energia» per effetto delle sanzioni a carico di Mosca.

Si determinerebbe in sostanza una notevole impennata inflazionistica ma non sarebbe l’inizio della fine. «I mercati azionari e gli asset a maggior rischio inizialmente si svaluterebbero ma potrebbe essere un movimento di breve durata, dato che le importazioni statunitensi dalla Russia sono ormai vicine allo zero e le esportazioni russe verso la Cina non saranno colpite». Secondo questa tesi, insomma, «le prospettive per la crescita globale potrebbero non cambiare molto, anche in presenza di tensioni prolungate», sottolineano Gallo e Foà. 

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Per l’Italia, però, non sarebbero in ogni caso scenari rassicuranti visto che siamo «tra i grandi Paesi dell’Unione europea, di gran lunga il più dipendente da Mosca», fa sapere l’Ispi a proposito della fornitura di energia. Per non parlare dell’impennata dei prezzi di grano e mais, giunti in questi giorni ai valori massimi del decennio come ricorda Coldiretti. Non sorprende perciò la visione decisamene allarmistica di un big della finanza mondiale come Morgan Stanley, secondo cui un’invasione russa dell’Ucraina scatenerebbe una nuova recessione per le economie sviluppate e peserebbe fortemente sui mercati azionari, con i titoli energetici a guidare i tracolli. Un eventuale conflitto «aumenta materialmente le probabilità di un vortice polare per l’economia e gli utili societari»: un’ulteriore impennata dei prezzi dell’energia «distruggerebbe la domanda e manderebbe forse diverse economie in una vera e propria recessione». 

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E per gli investitori cosa cambierebbe? «Per ora, pur con le mille cautele cui obbliga il contesto geopolitico, lo scenario di base rimane quello di una buona crescita, di inflazione in discesa a partire dal secondo trimestre, di margini che riescono ancora a difendersi dalla pressione dei costi e di tassi reali ancora ampiamente negativi. Nessuna marcia trionfale per le Borse, quindi, ma nemmeno i presupposti per una discesa marcata. Lo scenario di coda, quello di un conflitto, andrà trattato come tale e non dovrà diventare il pilastro su cui costruire un portafoglio. Nulla vieta, in ogni caso, che si predispongano misure difensive, purché non siano troppo costose. Comprare dollari come copertura, in questo momento, è il modo più semplice e meno costoso di difendersi dalla possibilità che l’Europa rimanga coinvolta nelle tensioni», dice Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos.
 

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