Un'opportunità da sfruttare per riportare Napoli al centro

di Piero Sorrentino
Mercoledì 26 Giugno 2019, 00:00
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Verrebbe da chiedersi, a una settimana dalla cerimonia di inaugurazione delle Universiadi, quanto sia l’interesse di Napoli per questo evento. Difficile da dimostrarsi coi fatti concreti, ma la sensazione è: poco. Non sembra, “Universiade”, una parola d’ordine che schizza da un capo all’altro della città, utile per sdrammatizzare o sedare i morsi di una realtà urbana che continua a presentarsi sotto mille luci scure. 

Sembra che niente stia per accadere, o che niente sia accaduto, se non i disagi per i cantieri, le interminabili code nel traffico a causa dei lavori frettolosi per l’imminente manifestazione sportiva internazionale. Di questa indifferenza possono darsi molte spiegazioni, a cominciare dall’inguaribile e atavico sguardo distaccato e ironico dei cittadini napoletani, passando per l’eterna protesta o ribellione contro verso tutto ciò che – non negoziato – viene imposto da fuori, da un altro percepito come estraneo o usurpatore. Ma Napoli è anche una città che sa ricucire in fretta i suoi strappi, sa tornare sui suoi iniziali passi distratti prendendo il bello e il buono che da eventi come questo possono venire. Così era successo con le regate dell’America’s Cup, così era andata con le partite della Coppa Davis. 

Eventi sportivi nati in sordina, guardati con sospetto, oppure oggetto – così, tanto per cambiare – di polemiche, sospetti, veti incrociati, accuse. Eppure, è importante guardare alle Universiadi con un po’ di fiducia, aprire loro le porte con una dose minima ma robusta di speranza. L’appello alla normalità di una città come Napoli, sistematicamente invocato da tutte le parti, passa anche da qui. 

Irricevibile è l’illusione di trasformare di punto in bianco la nostra città in una città “normale”. E amaramente ridicola è l’aspettativa che questa salvezza possa passare per una pur importante manifestazione sportiva. Ma sono proprio tasselli come questo che possono offrire a chi voglia immaginare questa normalità l’opportunità di pensarla con concretezza, per mezzo di fatti oggettivi e misurabili. 

La speranza, va da sé, è che manifestazioni del genere possano rilanciare il gioco, che facciano venir fuori pensieri e forze capaci di accettare la sfida del rilancio. A cominciare dalla funzione che possono svolgere sul mille volte evocato, o vituperato, turismo. E non è detto che le ricadute debbano essere misurate qui e ora, monetizzate nell’arco di pochi settimane o mesi. Spesso, il turismo buono – che pure, nonostante tutto, esiste – disegna una immagine di se stesso come riflessa in uno specchio scuro. Non se ne vede immediatamente la forma, e poi, un giorno, di colpo, eccola saltare su. Per fare tutto questo ci vuole, tra le altre dotazioni, la forza per ribaltare il nostro vecchio modo di adagiarci troppo mollemente sulle storture del passato. Una fiducia nel fatto che anche una Universiade ben fatta può produrre non solo merci, o ricchezza, o alberghi dalle camere piene, ma anche minuscole schegge di forme future di cittadinanza. 

È finito il tempo in cui una grande città come Napoli può permettersi indolenza o indifferenza rispetto alla possibilità di una vetrina internazionale che le si offre. Certo, inutile nascondersi: rispetto ai suoi mille problemi, quella delle Universiadi è una risposta pressoché nulla, se presa da sola. Ma l’importante, forse, sta nel metterla assieme alle mille altre risposte ai suoi problemi. Le alzate di spalle sono altrettanto letali. Lo ha efficacemente sintetizzato uno scrittore francese che si chiama Jules Claretie: «Chiunque faccia qualcosa si trova contro: quelli che vorrebbero fare la medesima cosa; quelli che fanno esattamente il contrario; e, soprattutto, il grande esercito dei nemici più temibili: quelli che non fanno assolutamente niente».


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