Rugby, la nazionale della Storia: Papi, Nobel, Oscar, Premier e Presidenti, i personaggi dei 200 anni dell'unico sport che ha il nome di una città

Convocati un santo, 2 Papi, 5 presidenti (Usa, Francia e Sudafrica), 3 premier (Uk e Giappone), 2 astronauti, un rivoluzionario, 5 Nobel, 5 Oscar (e 21 nomination), una Palma d’oro, un Leone d’oro, un Grammy e un agente segreto

Rugby, la nazionale della Storia: Papi, Nobel, Oscar, Premier e Presidenti, i personaggi dei 200 anni dell'unico sport che ha il nome di una città
Rugby, la nazionale della Storia: Papi, Nobel, Oscar, Premier e Presidenti, i personaggi dei 200 anni dell'unico sport che ha il nome di una città
Paolo Ricci Bittidi Paolo Ricci Bitti
Lunedì 24 Luglio 2023, 00:48 - Ultimo agg. 11 Settembre, 23:36
9 Minuti di Lettura

Nella Nazionale di Rugby della Storia ci sono un santo, due Papi, cinque presidenti (Usa, Francia e Sudafrica), tre premier (Uk e Giappone), due astronauti, un rivoluzionario, cinque Nobel, cinque Oscar (e 21 nomination), una Palma d’oro, un Leone d’oro, un Grammy, e un agente segreto che, no, non ha scritto 007 sulla maglia.


2023 ovvero 200 anni di rugby, l’unico sport che prende il nome da una città: Rugby, Midlands, Inghilterra. Il “football giocato alla maniera del college di Rugby” è nato il 1823: in realtà una meravigliosa leggenda per compendiare in un gesto e in un nebuloso personaggio il lungo modellarsi di un gioco poi sbarcato in tutto il mondo dalle navi dell’Impero Britannico.

L’alunno e futuro sacerdote William Webb Ellis due secoli fa, si narra, “infranse le regole e corse in avanti tenendo il pallone fra le mani” sul prato della scuola. Il successo, già a metà secolo (vedi il romanzo Tom Brown's School Days di Thomas Hughes del 1857), fu clamoroso grazie all’intuito del preside del college di Rugby, Thomas Arnold, che predicava “Gioca e sii uomo” ai figli di nobili e benestanti: un “cristianesimo muscolare” per crescere al servizio della società con disciplina, senso di responsabilità e strategie di squadra. Il primo gioco di squadra a essere codificato e divenuto obbligatorio nelle scuole per formare la spina dorsale della potenza imperiale alle prese anche con le laceranti conseguenze della prima rivoluzione industriale. I gentlemen tirati su con questo spirito non potevano che rigettare con orrore il professionismo, arrivato appunto solo nel 1995, permettendo così a tanti rugbysti di fare meta anche in altri settori della vita. E solo dal 1987 si disputa la coppa del mondo, intitolata proprio a William Webb Ellis, che a settembre in Francia vivrà la decima edizione. 

(Grafica della pagina a cura di Paolo Funari)

Ecco allora i 15 titolari, le 12 riserve (tante quante hanno già sperimentato con qualche scelleratezza) e lo staff di tecnici e dirigenti. E infine un ulteriore gruppetto di convocati in tribuna. Qualche personaggio di certo sarà restato fuori e qualcun altro sarà fuori ruolo: nella sezione dei commenti in fondo all'articolo potete dire la vostra, pareri che saranno riportati negli aggiornamenti del testo.


I 15 titolari

Pilone sinistro è Javier Bardem, attore da Oscar, che in quel duro ruolo in prima linea è arrivato alle nazionali giovanili spagnole. Due presenze addirittura nella nazionale maggiore Usa per l’astronauta della Nasa e tallonatrice Anne McClain.  Sì, una sola donna nel foglio-partita sembra non rappresentare adeguatamente l'impetuosa crescita del rugby femminile, ma di fatto le donne giocano con regolarità a rugby solo dai primi anni Ottanta, nemmeno due generazioni: la prossima nazionale della Storia, fra qualche anno, vedrà in campo molte più giocatrici.  

Pilone destro (evangelica pietra angolare della mischia, fonte e architrave del gioco) è San Karol Wojtyla, Papa che giocò a rugby negli anni del seminario  

In seconda linea due lungagnoni: l’ingegnere idrologo veneziano Andrea Rinaldo, unico italiano titolare, che il 27 agosto riceverà lo Stockholm Water Prize, il Nobel dell’Acqua, 4 volte in azzurro sfidando anche gli All Blacks e autore dell'illuminante saggio "Del rugby. Verso una ecologia della palla ovale", e il presidente francese Jacques Chirac, giocatore del Brive. In terza linea il primo ministro britannico Gordon Brown, che perse l’uso di un occhio giocando per il college di Kirkaldy in Scozia. Poi il presidente degli Usa Bill Clinton, più volte in campo durante gli studi a Oxford.

Devastante il numero otto, l’attore gallese Richard Burton, dopo le nazionali giovanili sarebbe arrivato a quella maggiore se non fosse diventato attore con 7 nomination all’Oscar. Una volta portò la moglie Liz Taylor a tifare per il Galles all’Arms Park di Cardiff.

Ora la cabina di regia affidata all’estro imprevedibile e al coraggio del mediano di mischie e capitano Ernesto “Che” Guevara, stella del San Isidro (in realtà giocava soprattutto trequarti, quasi sempre ala, così da poter usare di tanto in tanto con più facilità l'inalatore per l'asma) e fondatore della rivista Tackle (placcaggio), affiancato dallo stratega Tony Blair, saettante trequarti per il Fettes College (set anche per la saga di Harry Potter) e per l’università di Oxford.

Ai “centri” gli scrittori John Ronald Ruel Tolkien e Salman Rushdie: il Signore degli Anelli era fiero della maglia della King Edward’s School e dell’Exeter College di Oxford, mentre l’autore dei Versetti satanici ha persino giocato proprio nel college di Rugby, così come aveva fatto prima di lui Lewis Carroll (Alice nel paese delle meraviglie) destinato oggi alla panchina.

Cinema e musica per la linea arretrata: alle ali gli attori Jacques Tati, Oscar per Mon Oncle, che si esibì nelle prime gag per in compagni del Racing Club di Parigi, e Russell Crowe, Oscar per il Gladiatore, neozelandese trapiantato in Australia, rugbysta a tutto tondo (a 15, a 13 e a 7), proprietario di una squadra di rugby league a Sydney. Sul set del film Master e commander allestì un torneo di rugby Seven. Infine l’estremo Roger Waters dei Pink Floyd, tumultuoso titolare al liceo a Cambridge: gli piacevano le regole del rugby, ma non sopportava quelle della scuola. Il premio Grammy, comunque, lo ritirò.

A disposizione

Joe Biden,  l'attuale presidente Usa è prozio del nazionale irlandese Rob Kaerney e ha invitato gli All Blacks alla Casa Bianca.

Un suo predecessore, George W. Bush, è stato estremo nella squadra dell'università di Yale.

Giocava sempre al limite del regolamento, ma allora i cartelli gialli e rossi erano assai rari. 

Fra gli omoni di mischia anche Gerard Depardieu, Palma e Leone d’oro, giocatore e dirigente del Bordeaux-Begles, 

Tra le torri pure Eamonn Walsh, ex vescovo di Dublino, in touche fino all’età di 42 anni in Irlanda e in campo anche a Roma negli anni degli studi.

Anche per lo scrittore sudafricano premio Nobel, John Maxwell Coetzee, in prima linea nella lotta all’apartheid, il rugby è lo sport degli anni universitari a Città del Capo: folgorante è un suo saggio su pregi e limiti del gioco che si può leggere nella raccolta "Doppiare il capo".

Vulcanologo, documentarista e pioniere della teoria della “tettonica a zolle”, il belga-francese Haroun Tazieff che ha giocato, anche da Old, in mezzo mondo.

Poi l’attore Peter O’Toole (premio Oscar) giocatore a Leeds di rugby a 13 convertito al 15 dal collega di set e di bevute Richard Harris, l’irlandese del Garryowen Rfc, Palma d’oro a Cannes per “Io sono un campione" (rugby league). Per dirne una, Harris si fece seppellire con la maglia del Munster, storica franchigia provinciale del rugby irlandese.

Di Lewis Carroll abbiamo già detto dei trascorsi a Rugby, mentre James Joyce una volta partì da Trieste per andare a vedere gli All Blacks a Parigi. E ha inserito la Haka in Finnegans Wake.

Yoshiro Mori, a un passo dalla nazionale e poi primo ministro giapponese e presidente della federazione.

Hugo Pratt, riminese-veneziano, secondo italiano sul foglio partita: il papà di Corto Maltese si distinse con il "Casi" in Argentina: il rugby appare nella storia “Tango”.

Lo staff

Ad aiutare il ct Papa Francesco, competente e appassionato dichiarato di rugby e sostenitore di centinaia di squadre nelle carceri argentine (progetto Espartanos), nella gestione della nazionale, ecco il presidente del Sudafrica, Nelson Mandela (ricordate il film Invictus), Nobel per la Pace, che usò anche i valori del rugby per creare la nazione Arcobaleno, e il team manager Jurji Gagarin, il primo uomo nello spazio, che contribuì alla nascita della federazione ovale in Unione sovietica e rese il rugby il gioco ufficiale dell’accademia aeronautica.

E poi l’addetto stampa Albert Camus, Nobel per la Letteratura, che per anni chiese inutilmente all’Equipe di scrivere di rugby che amava alla follia. Alle PR l’irlandese George Bernard Shaw, Nobel per la Letteratura e Oscar per Pigmalione (un bis stellare che fino al 2016 restò unico, beh, ora sono in due, l'altro è Bob Dylan) autore di aforismi fulminanti sul rugby e sempre in tribuna al Lansdowne Road.

Mental coach (ok, cappellano), l'arcivescovo anglicano sudafricano Desmond Tutu, Nobel per la Pace, che sostenne Mandela nella lotta all'apartheid e nella costruzione senza vendette del nuovo Sudafrica: quando Joel Stransky centrò il drop decisivo per la vittoria degli Springboks (vedi sempre Invictus) della Coppa del mondo 1995, l'arcivescovo disse che "il pallone era stato portato così in alto fra i pali dagli angeli".   

Infine l’arbitro internazionale inglese sir Ivor Roberts, già ambasciatore del Regno unito anche a Roma. Per la sicurezza del team chi meglio di Daniel Craig? Non avesse smesso troppo presto, poteva diventare titolare anche 007, grintoso trequarti dell’Hoylake Rfc. Come sostenitore è stato in tour anche con i Lions e ha fatto visita alla nazionale inglese anche negli spogliatoi dell'Olimpico. 

 

In tribuna

Strano ma vero, sin qui nemmeno un nome degli All Blacks: possibile? Ecco allora il mediano di mischia Chris Laidlaw, 20 presenze negli anni 60, poi leader del Partito laburista neozelandese e diplomatico.

Architetto, ambasciatore dell'Argentina e ministro nonché infallibile mediano di apertura dei Pumas: Hugo Porta, in nazionale fino al 1990.

Tutti santi coloro che giocano a rugby? L'eccezione che conferma la regola ha la stazza di Idi Amin Dada, il dittatore dell'Uganda, che giocò anche per il Nile Rfc e per squadre dell'esercito britannico di cui era ufficiale. Raccontava anche di aver affrontato la superselezione Lions con l’East Africa nel 1955, ma non è provato.

Un'altra astronauta della Nasa, in missione sull'Iss con Samantha Cristoforetti: è la geologa Jessica Andrea Watkins, medaglia di bronzo ai mondiali di rugby a  7.

Bettino Craxi, leader del Psi e premier, seconda linea negli anni giovanili in squadre lombarde  

Giancarlo Dondi, seconda linea, giocatore del Parma e delle Fiamme Oro (uno scudetto): presidente della Fir dal 1996 al 2012, il presidente che ha portato l'Italia nel Sei Nazioni.

Candidati per la prossima nazionale della Storia anche il Principe William, padrino dell'Union gallese, la moglie Kate Middleton, madrina dell'Union inglese, e il fratello Harry che prima degli ultimi burrascosi anni non perdeva un match (anche in trasferta nell'emisfero sud) della nazionale inglese. I due fratelli hanno giocato a rugby al college.

Allora, chi manca, secondo voi?

© RIPRODUZIONE RISERVATA