Aiuti in ritardo, l'allarme di Cafiero de Raho: «Subito fondi alle imprese o arriveranno le mafie»

Aiuti in ritardo, l'allarme di Cafiero de Raho: «Subito fondi alle imprese o arriveranno le mafie»
di Giuseppe Crimaldi
Venerdì 8 Maggio 2020, 14:00 - Ultimo agg. 16:10
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Mafie all'assalto e clan pronti ad accomodarsi al grande banchetto dei finanziamenti statali: «Non c'è altro tempo da perdere - ammonisce il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho - e bisogna subito metter mano a correttivi e integrazioni sul cosiddetto Decreto liquidità varato dal governo per offrire concreti strumenti nell'azione di contrasto alle ingerenze della criminalità organizzata nell'economia nazionale».

È un film purtroppo già visto, quello che racconta l'assalto delle mafie ai contributi dettati da un'emergenza. È stato così in occasione di terremoti, disastri e catastrofi, che finiscono col diventare un boccone ghiottisimo per Cosa Nostra, ndrangheta e camorra. Ma il numero uno della Dna va oltre: e lega la prima parte di questo discorso ad un secondo segmento che rischia di far precipitare la situazione: «Perché - dice al Mattino - ora dobbiamo considerare che con le scarcerazioni anche di pericolosissimi boss al 41 bis, a cominciare da Pasquale Zagaria, le più pericolose menti criminali votate al riciclaggio e a logiche imprenditoriali sporche possono ritrovare spazi e operatività nei rispettivi feudi».
 


Qual è la situazione che emerge dal vostro osservatorio?
«È un momento di grandissima sofferenza per il Paese intero. C'è un enorme bisogno di liquidità. Ma i ritardi nella gestione e nella erogazione dei finanziamenti aprono nuovi spazi e consentono alle mafie di infiltrarsi nel tessuto sano dell'economia».

Come si stanno muovendo le mafie?
«Come sempre le mafie hanno un'esigenza primaria, quella di nascondere e riutilizzare ricchezze e patrimoni illeciti; e questo lo fanno attraverso imprese gestite da soggetti insospettabili, imprenditori puliti, ai quali peraltro lasciano - per non destare sospetti - anche la formale titolarità delle aziende. Ma le cose stanno in un altro modo».

E cioè?
«In realtà quegli stessi soggetti che si prestano a fare da prestanome sono già finiti nella morsa delle mafie. Molti sono già sotto usura. E così avviene che il denaro coperto dalla gestione di quegli imprenditori è apparentemente giustificato. Noi invece sappiamo che è già finito nelle casse delle cosche.

Questo vale ovviamente, come diceva, per tutte le mafie.
«Certamente, e quindi - in Campania - anche per la camorra: un sistema che consente di gestire in maniera apparentemente corretta flussi di denaro sporco. Tutte le organizzazioni criminali oggi si stanno mimetizzando dietro la copertura di imprenditori puliti».

Il risultato?
«È devastante: così l'economia finisce per essere stravolta, falsata, e si inquina il tessuto della libera impresa e della libera concorrenza. Oltre ad approfittare dello stato di necessità di decine di migliaia di imprenditori e cittadini».

Ma com'è possibile che i clan riescano a mettere impunemente le mani su un sistema di finanziamento statale?
«Accade la stessa cosa di quando le mafie riescono ad aggiudicarsi gli appalti pubblici. Le mafie concorrono ai bandi e agli appalti sfruttando questa rete di imprenditori disposti al compromesso. Accadeva già in passato e continua a succedere, purtroppo, in tutta Italia. Con l'aggravante che la sofferenza economica attuale aggrava ulteriormente il fenomeno, moltiplicandolo e rendendolo ancora più diffuso e generalizzato. Perché oggi è ancora più facile trovare un soggetto che non ce la fa a trovare liquidità».

Che cosa serve dunque?
«Se non si corre ai ripari, e presto, le cose peggioreranno ancora di più consegnando ingenti quote societarie, ma anche patrimoni e fondi, ai clan. Perché il Decreto Liquidità non prevede controlli».

Non sono previsti controlli?
«Lo ripeto: oggi in quel decreto non ci sono forme di controlli validi. Certo, siamo tutti d'accordo che non si potranno attendere i tempi dei vagli investigativi antimafia. Ma uno strumento è possibile».

E quale?
«Ci si riesce coinvolgendo i soggetti preposti a queste verifiche. Noi, la Direzione nazionale antimafia, con tutti i suoi organi a cominciare dallo Scico; e poi la Guardia di Finanza e la Dia, con le loro banche dati. Questo coinvolgimento garantirebbe un lavoro serio su tutte le operazioni sospette, trasmettendo come atto d'impulso i dettagli alle varie Procure distrettuali antimafia presenti sul territorio. Così potremo anche fornire - laddove emergano elementi informativi a noi già noti su soggetti o aziende sotto indagine o sotto processo - elementi utili anche alle Prefetture, capaci di intervenire immediatamente con le interdittive antimafia. Questo consentirebbe anche di imporre il tracciamento delle liquidità e dei flussi di denaro: così, nel giro di poco tempo, si scoverebbe chi, dove e come ha tratto illecitamente benefici dall'emergenza. Servono controlli concorrenti e paralleli».

Ma lei queste cose le ha rappresentate ufficialmente?
«Sono stato ascoltato il 29 aprile dalla Commissione Finanza e Attività Produttive della Camera e ho rappresentato queste esigenze: è tutto agli atti».

Poi c'è il problema delle scarcerazioni. Troppi boss sono tornati liberi.
«Farli uscire dal carcere determina un pericolo altissimo.
Prendiamo il caso di Pasquale Zagaria, la mente imprenditoriale dei Casalesi, l'uomo che si presentava ai cantieri dell'Alta Velocità quale interlocutore di tutti i clan. Oggi questo soggetto è a casa sua: fatevi voi un'idea di ciò che ne può derivare. La verità, ma ne parliamo ormai da troppi anni, è che va risolto il problema dell'edilizia carceraria. E le carceri non si deflazionano scarcerando i mafiosi». 

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