«Mia moglie sfuggì al cancro
non al disastro del Giglio»

«Mia moglie sfuggì al cancro non al disastro del Giglio»
di Francesco Lo Dico
Sabato 13 Maggio 2017, 08:33
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«I funerali di mia moglie furono due. Il primo nell'ottobre del 2013, quando vegliammo il suo tronco e le gambe. Il secondo alla vigilia di Natale del 2014, quando dicemmo addio al suo cranio e al braccio destro. Tre lunghi anni di angoscia, tre lunghi anni prima di seppellirla, da quel giorno di gennaio che la inghiottì tra le onde». Elio Vincenzi, oggi settantenne, vive a Priolo, vicino Siracusa. Professore di matematica oggi in pensione, è il vedovo di Maria Grazia Trecarichi, una delle trentadue vittime che viaggiava a bordo della Costa Concordia. La donna fu trovata per ultima tra i dispersi, dopo il cameriere indiano Russel Rebello.

Professore, per Schettino è stata confermata la condanna a sedici anni: giusto così?
«Non voglio attribuire a lui tutte le responsabilità del naufragio. Ma ciò che rende il capitano pienamente responsabile è quell'enorme cumulo di menzogne che ha raccontato in questi anni. Schettino è un bugiardo. Ha avuto ciò che merita. Ma è anche per il suo atteggiamento che ha pagato di fronte ai giudici: troppe sbruffonerie, tante guasconate. I superstiti e i familiari meritavano più rispetto. Me compreso. Prima di accettare di incontrarmi, ha impiegato anni».
E che cosa le ha detto quando vi siete visti?
«Si è comportato male. È accaduto qualcosa di molto spiacevole che però non posso raccontare. Ho conosciuto sua moglie e sua figlia, due persone deliziose. Sono in pena per loro. Adesso che Schettino finirà in galera, non potranno vivergli accanto per molti anni. Il pensiero mi fa soffrire davvero».
Pensa sia colpa del capitano se oggi sua moglie non c'è più?
«Mia moglie era ammalata di cancro dal 2001. Nel 2010, due anni prima dell'incidente, le avevano tolto ogni speranza dopo una recidiva. La salvò la cura Di Bella. Fu così che andò e la prego di scriverlo perché è la verità. Fu per questa ragione che mia moglie riuscì a salire a bordo di quella nave. Eppure, sfuggita al cancro, trovò la morte sulla Concordia».
Lei non la accompagnò in quel viaggio. Come mai?
«Ho insegnato matematica a lungo: solo due assenze per malattia in più di trentasei anni di carriera. La crociera partiva dopo l'Epifania, e non avevo alcuna intenzione di inviare a scuola un certificato per poter fare la vacanza. Così dissi a mia moglie: Non ti preoccupare, vai tu con nostra figlia, il suo ragazzo, e la tua amica. I tuoi cinquant'anni li festeggi con loro, e poi al ritorno facciamo festa tra noi».
Sua figlia e il fidanzato si salvarono. Non così sua moglie e l'amica Luisa Virzì. Ha mai capito come andarono le cose?
«Maria Grazia era pronta a salire sulla scialuppa, ma sentiva freddo. E così disse a mia figlia Stefania e al fidanzato, andate voi, io vado a prendere un maglioncino e salgo sulla prossima. Non riuscì mai a tornare indietro. Telefonò a Stefania per accertarsi che fosse in salvo. Poi chiamò anche me, ma persi quella maledetta telefonata. Non riuscii mai a dirle addio».
Si sente mai in colpa per non averla accompagnata in quel viaggio?
«Ogni giorno della mia vita. Sono certo che se ci fossi stato io con lei, l'avrei messa al sicuro. Conosco il mare, le regole di sicurezza. Ma chi doveva aiutarla, coordinare i soccorsi, si era cambiato e aveva abbandonato la nave».
Come ha fatto ad andare avanti?
«Mi concentrai su mia figlia Stefania. Nel 2012 aveva ancora diciassette anni. Il mio obiettivo diventò aiutarla a sopravvivere. Interruppe gli studi, ma ci misi tutta la pazienza e l'amore. Oggi studia all'università di Bari con ottimi voti. Ma di sua madre non abbiamo più parlato. La psicologa mi ha spiegato che se mai vorrà farlo, dovrà farlo di sua iniziativa».
Sua figlia studia fuori oggi. Come passa i suoi giorni?
«Provai a fondare un'associazione marina in nome di Maria Grazia, ma fui truffato e non mi restò più nulla se non qualche attrezzatura. Presi appuntamento per la vendita con Marcello Mica. Allora era per me uno sconosciuto, ma ci mettemmo a parlare per ore. Trovai in lui grande conforto, la stessa passione per il mare. Oggi è un mio grande amico: gestisco insieme a lui un diving a Siracusa. Ho una barca che porta il nome di mia moglie, si chiama Mariù. La utilizziamo per la salvaguardia del mare e le operazioni di soccorso. Dal defibrillatore alla macchinetta per l'ossigeno, c'è tutto quello che serve per salvare una vita. Un modo per non rendere vana quella perduta da mia moglie».
Ha mai avuto giustizia?
«Costa Crociere mi contattò poco tempo dopo la tragedia. Una causa civile mi avrebbe dato soddisfazione, ma ci sarebbero voluti quindici o persino venti anni con il nostro sistema giudiziario. Pensai che non avevo tutto quel tempo, dal momento che avevo ormai 65 anni. E che non aveva abbastanza tempo neanche mia figlia, che doveva proseguire i suoi studi. Garantirle il futuro era la mia unica priorità. E così firmai con loro un accordo riservato».
Com'è riuscito ad amare ancora il mare dopo tanto dolore?
«Il suono delle onde mi ricorda mia moglie. In mare risento le sue urla, le sue risa quando per la prima volta cominciò a battere i piedi per stare a galla, l'acqua che le finì in bocca quando si mise la maschera. Lei era di Enna, il mare non l'aveva mai visto. Ma quando le insegnai a nuotare non volle più smettere. Ecco perché il mare non potrei mai odiarlo. Tra le onde Maria Grazia era felice. Quando mi immersi nelle acque del Giglio, pensai che il destino le aveva regalato il mausoleo più bello del mondo».
Lei si immerse al Giglio nel luglio del 2012, quando sua moglie era ancora dispersa.
«Mi aiutarono in molti a realizzare quel desiderio: il sindaco del Giglio, la guardia costiera, la Costa crociere. Scesi con le bombole a 25 metri e deposi una targa e un rosario nel luogo dove l'abisso l'aveva inghiottita. Una targa, un rosario e una rosa bianca. Maria Grazia le amava tanto. Temetti di non farcela, ormai avevo quasi settant'anni. Tornato a galla ebbi un malore, ma mi ripresi. Non era il mio giorno».
A 5 anni dalla disgrazia, incolpa il destino oppure Schettino?
«Anni fa caddi da nove metri su una spianata di cemento armato. Non conosco nessun altro che sia sopravvissuto in una situazione simile. Io me la cavai con un braccio che è rimasto pressoché fuori uso da allora. Sono sempre stato un fatalista. Ma non riesco a togliermi dalla testa che se il capitano avesse fatto il capitano, quella notte del 13 gennaio del 2012, la mia Mariù sarebbe ancora viva».