Marisa, mamma di una disabile: «Burocrazia, ingiustize, aiuti zero: via il negozio per stare con Gaia»

Marisa, mamma di una disabile: «Burocrazia, ingiustize, aiuti zero: via il negozio per stare con Gaia»
di Mariagiovanna Capone
Giovedì 12 Ottobre 2017, 11:01 - Ultimo agg. 12:46
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Si prendono cura di un familiare disabile e per farlo spesso devono lasciare il proprio lavoro. Sulle loro spalle ci sono i problemi quotidiani tra burocrazia, ingiustizie, welfare inesistente oltre alla fatica fisica e psicologica. Il tutto senza un briciolo di riconoscimento. I Caregiver sono destinati a restare nella solitudine anche se è appesa a un filo la possibilità di vedersi riconoscere un ruolo e un contributo in grado di migliorare la qualità della vita. Marisa Tavano è una dei tanti caregiver, la persona di cui si prende cura è Gaia, sedici anni appena compiuti e un’energia che riesce ad arginare a fatica.

Signora Tavano, com’è la sua giornata di caregiver?
«Pesante. Fisicamente e psicologicamente. Solo chi vive con un disabile riesce a capire di che pesantezza parlo: per noi la giornata dura 24 ore, senza tregua, senza interruzioni. Non ci fermiamo neanche quando dormiamo, basta un piccolo rumore per farci balzare dal letto. Ci sono gli impegni della vita di tutti i giorni comuni a tutte le altre persone, e in aggiunta dobbiamo combattere contro le ingiustizie che non mancano mai».
Di quali ingiustizie parla?
«Quelle di non veder riconosciute le leggi che tutelano i disabili. Ogni giorno è una battaglia, ogni giorno c’è l’imprevisto da affrontare, con gli altri che mettono i bastoni fra le ruote».
Chi sarebbero “gli altri”?
«Gli altri sono la scuola, il Comune, l’Asl. Ho sedici anni di ingiustizie che potrei raccontare e come me migliaia di altre madri che si prendono cura dei propri figli».
Partiamo dall’inizio.
«Mia figlia ha 16 anni e fino a che non è andata a scuola, andava tutto bene perché riuscivo a organizzare la quotidianità. Quando l’ho iscritta alla scuola materna, credevo di poter pianificare ancora meglio la mia vita, di riprendere a lavorare con maggiore impegno: niente di più sbagliato. Ho dovuto vendere il negozio e dedicarmi totalmente a lei. Il problema non è certo mia figlia, ma i soprusi che soltanto con la mia ostinazione sono riuscita a superare e a far valere i suoi diritti. La scuola rifiutò l’iscrizione, sebbene l’avessi fatta nei modi e nei tempi giusti, poi una volta accettata, mancava il banchetto adatto a lei, e poi la maestra di sostegno, l’assistenza materiale, il bagno non a norma, l’assenza di trasporto scolastico... Da lì è iniziato il caregiver fisico e mentale, dovevo intervenire sempre e continuo a farlo ancora oggi perché nella vita di un disabile niente scorre nella normalità, anche se ci sono leggi che dovrebbero aiutarti ad acquisire maggiore autonomia e serenità. L’ultima battaglia alla scuola media per ottenere l’ascensore: ci ho messo tre anni. Oltre al lavoro fisico notevole subiamo impegni che logorano il cervello. Ho 60 anni ma me ne sento 100».
Un contributo come caregiver sarebbe importante?
«E certo. Consideri questo: ho un cuscinetto della scapola infiammato, richiederebbe riposo e non lo sforzo di gestire da sola 40 chili di ragazza vivacissima. Gaia è presente, comunica con alcune parole e gesti, ma ha bisogno di un’assistenza totale che gestisco da sola. È una ragazza piena di energia che non lascia tregua, notte e giorno. Con un contributo potrei assumere una persona di fiducia e prendermi una tregua di qualche ora al giorno».
L’assistenza domiciliare non basta?
«Non basta per nessuno. Abbiamo tutti poche ore a settimana: per Gaia ne ho 10 e in quelle ore aiuto l’assistente a farle una doccia, a farle fare i compiti, bere i succhi di frutta... sono cose che lei non ama fare e se glielo chiedo io fa i capricci mentre ho constatato che con l’assistente le fa. In quelle 10 ore faccio la madre agli altri miei due figli, di 23 e 20 anni. Tempo per me non ce l’ho più, questa legge se fosse scritta bene, aiuterebbe almeno un milione di persone in Italia, ma anche poter creare un fondo per i nostri figli disabili».
Dargli un futuro.
«Chi ha un figlio disabile il futuro non lo vede. Se potessi, vorrei morire un minuto dopo Gaia, se dovessi venire a mancare prima io, morirei con il rimorso di saperla sola, senza nessuno che si prenderà cura di lei».
 

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