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Medico di base anticipa la pensione: «Cari pazienti, il dottore così non lo voglio fare. Mestiere ormai impraticabile»

Giancarlo Marcon, nato a Gosaldo e attivo ad Agordo, ha sempre concepito la professione così, come la presa in carico della persona

Medico di base anticipa la pensione: «Cari pazienti, il dottore così non lo voglio fare. Mestiere ormai impraticabile»
Medico di base anticipa la pensione: «Cari pazienti, il dottore così non lo voglio fare. Mestiere ormai impraticabile»
di Margherita Bertolo
Articolo riservato agli abbonati premium
venerdì 25 luglio 2025, 08:41 - Ultimo agg. : 08:55
4 Minuti di Lettura

Lassù, sulle montagne, c’è un dottore che non ama i riflettori. Il suo nome al massimo affiora dai ringraziamenti dei familiari dei tanti pazienti che, come medico di base, ha assistito fino all’ultimo. Giancarlo Marcon, nato a Gosaldo e attivo ad Agordo, ha sempre concepito la professione così, come la presa in carico della persona. Un modo di operare che oggi è diventato, a suo avviso, «impraticabile». Ragion per cui, riscattata la laurea, ha maturato una decisione sofferta ma, a suo avviso, inevitabile. Il 31 agosto, a 63 anni, appenderà il camice al chiodo, varcando anzitempo la soglia della pensione. Avrebbe potuto lavorare fino ai 67, ma ha scelto di fermarsi. Troppo amore per la professione, un unico modo di viverla: come missione, rapporto, giorno dopo giorno.

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LA LETTERA

Ai suoi 1600 pazienti ha spiegato la scelta in una lunga lettera, che in queste ore sta diffondendo via e-mail, dopo averla affissa all’ingresso dell’ambulatorio. «Il dato è tratto, vado in pensione», esordisce, «dal primo settembre, e salvo colpi di scena». Non prima, però, di aver illustrato ai propri pazienti le ragioni di una scelta tanto drastica. A pesare, innanzitutto, sarebbe quella che definisce una «perdita progressiva della qualità del lavoro», originata da una eccessiva parcellizzazione delle cure. «L’enorme crescita delle conoscenze mediche – spiega Marcon – le pressioni consumistiche, verso pillole ed esami, finalizzate a rassicurare il paziente e a tutelare legalmente il medico, hanno creato una crescita smisurata della domanda e un meccanismo di spezzettamento delle competenze per cui non esiste più il malato ma solo la malattia e nel contempo non esiste più la persona malata ma l’organo malato». Una dinamica «comprensibile nella specialistica», ma che nella medicina di famiglia «appare come la fine della medicina di famiglia stessa». 

QUANTITÀ DI LAVORO

Se il mestiere è diventato una sofferenza, per i valori del medico agordino, a peggiorare la situazione è il sensibile incremento della quantità di lavoro. Altro che 8 ore, ne servono fino a 14, se dopo le visite ci sono le mail e la burocrazia. In un contesto che vede moltiplicarsi le richieste di assistenza più “banali”, dal mal di pancia al raffreddori, gli stati d’ansia fanno il resto. L’effetto? «Sono cresciute a dismisura le e-mail, che certamente permettono di seguire in modo rapido e in grande quantità le persone, ma sulla qualità del curare via mail lasciamo perdere…» spiega Marcon. Ma c’è pure l’altra faccia della medaglia: «Se tutti quelli che mi scrivono venissero in ambulatorio, saremmo ben oltre le 14 ore». Insomma, Marcon si è trovato di fronte a un bivio: «Facendo semplicemente due parole, una ricetta e via, sarei riuscito a essere “più produttivo”, ma mi sarei riconosciuto ancora meno nel lavoro che sto facendo». 

LE PROSPETTIVE

Alle difficoltà intrinseche alla professione, espresse dal dottor Marcon, si sommano poi quelle esterne. «Ci avviamo verso un ulteriore definanziamento del sistema sanitario pubblico – scrive ai suoi pazienti –. Non sono molto più rassicuranti le prospettive proprie di una riorganizzazione della medicina territoriale». Il riferimento va, ad esempio, alle case della comunità (strutture socio-sanitarie territoriali introdotte dal Pnrr per fornire assistenza sanitaria e sociosanitaria di prossimità ai cittadini) e al ruolo unico (i medici che si sono diplomati a giugno sono i primi ad avere obbligo di svolgere la quota oraria). «Tutti aspetti – prosegue Marcon – che porteranno il medico di famiglia da quello che secondo me dovrebbe essere stata la figura di “regista” della salute dei suoi assistiti a ingranaggio di una sanità pubblica impoverita e destrutturata». Un contesto in cui, secondo Marcon, «il rapporto fiduciario e continuativo fra medico di famiglia e paziente progressivamente evaporerà». 


LA SCELTA 

E così, il dottore di Agordo ha scelto di saltare a piè pari questa fase, ritirandosi prima. Spiega dunque ai pazienti che dal primo settembre l’Ulss è tenuta a trovare un medico che li assista. E che inizialmente sarà un sostituto provvisorio, ma successivamente verrà bandito il posto. «Mi risulta che la ricerca di un collega che prenda il mio posto è in corso», assicura prima di congedarsi dai pazienti: «Anni di conoscenza e rapporti personali continuativi mi hanno arricchito come professionista e come uomo e di tutto questo vi ringrazio di cuore!». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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