Saman, la barbarie di famiglia: quando le nozze-contratto si trasformano in orrore

Saman, la barbarie di famiglia: quando le nozze-contratto si trasformano in orrore
di Valentino Di Giacomo
Lunedì 7 Giugno 2021, 23:58 - Ultimo agg. 8 Giugno, 19:46
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Nelle baraccopoli, nel silenzio dei quartieri-ghetto delle nostre metropoli, nelle periferie italiane sono tanti i casi simili a quello di Saman Abbas, la giovane che sarebbe stata uccisa per aver rifiutato un matrimonio combinato. Non serve viaggiare verso Paesi che si trovano dall’altra parte del Mondo, dell’Africa o dell’Asia, per trovare centinaia di matrimoni forzati o di spose-bambine anche qui da noi. Matrimoni che avvengono con la minaccia e con l’imposizione senza che la donna possa opporsi contro i propri familiari-aguzzini. Una ricerca dell’associazione 21 luglio, solo pochi anni fa, registrava come nelle periferie di Roma il 30% delle ragazzine che prendevano marito - all’interno di baraccopoli circostanti al Grande raccordo anulare - avevano dai 12 ai 15 anni. In generale in quei micro-mondi delle periferie romane il tasso di unioni precoci è del 77%. Per capire il fenomeno basti pensare che nel Niger, dove la pratica del matrimonio precoce è la più alta al mondo, la percentuale di questo genere di unioni si ferma al 76%.

Non solo motivi religiosi, ma soprattutto socioeconomici dietro questo fenomeno. Anche se l’emigrazione di massa, la cultura importata soprattutto dai Paesi islamici, fa sì che anche in Italia ci sia da tenere alta la guardia su questo fenomeno per troppo tempo sottovalutato. Una legge, quella che vieta i matrimoni forzati, è arrivata nel nostro Paese solo due anni fa grazie all’intervento dell’attuale ministra Mara Carfagna.

Il problema però resta cercarle queste storie che accadono al buio, nel silenzio di vittime impossibilitate a denunciare, a rifiutarsi di sposare spesso quel cugino più grande di 20 o 30 anni perché così hanno deciso le loro famiglie. Diversi sono stati gli omicidi di ragazze che hanno opposto il loro rifiuto pagando con la vita il loro coraggio, ma si sceglie più spesso il silenzio alla libertà proprio per evitare le tragiche conseguenze così come sarebbe avvenuto proprio per la giovane Saman. 

C’è tutta un’impostazione culturale dei precetti islamici più radicali dietro queste pratiche che fanno ripiombare l’Italia agli anni ‘60. Lontanissimi i tempi in cui, nel 1965, la siciliana Franca Viola, fu pioniera per essere stata la prima donna a rifiutare il cosiddetto «matrimonio riparatore». Nel Corano applicato in alcune zone del Mondo e da alcune popolazioni - quindi per tanti migranti che arrivano da Paesi islamici - il matrimonio non è teologicamente considerato come un sacramento, ma un contratto spesso stipulato da due famiglie che neppure coinvolgono la donna. Se una ragazzina, a causa dell’età, non è in grado di decidere e di concludere il matrimonio, qualcuno lo farà per lei prevedendo la figura di un tutore matrimoniale (walî), che normalmente è il padre. Nei matrimoni precoci la volontà matrimoniale è del tutore, che quindi esercita il potere di costrizione matrimoniale (ijbâr), previsto secondo antiche pratiche.

Ben diversa la situazione dell’uomo che può sposare fino a quattro mogli e poi può provocare la fine del matrimonio con una semplice dichiarazione di ripudio. La donna musulmana, tra l’altro, non può sposare chi ha una fede differente da quella islamica. Questo impedimento ha diretta base coranica e quindi è considerato insormontabile anche da gran parte del pensiero riformista. L’unico modo per far cadere l’impedimento può essere la conversione del futuro sposo all’Islam. Donne vittime a vita di padri, fratelli e poi di mariti imposti.

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Mentre l’Islam in questi anni ha fatto passi da gigante per emanciparsi e ammorbidire i propri precetti, l’Italia sconta soprattutto il peso di una migrazione economica che spesso fa arrivare nel nostro Paese persone culturalmente meno emancipate. «I pakistani italiani - come ha scritto in un suo libro lo scrittore naturalizzato italiano Wajahat Abbas Kazmi proprio sui matrimoni combinati - sono migranti economici con bassa scolarizzazione che provengono dalle aree rurali. La loro idea di miglioramento sociale non è quella di inserirsi in un mondo più giusto dove tirare su i figli in libertà, farli studiare e realizzare le loro aspirazioni. Le loro ambizioni sono solo economiche». Ed è così che nelle metropoli e nelle province italiane avvengono casi come quello di Sanem. Non bisogna pensare neppure che l’Italia sia esente da pratiche crudeli come quella dell’infibulazione, solo 10 anni fa veniva calcolato come fossero più di 30mila nel nostro Paese le ragazzine che subivano mutilazioni genitali e l’escissione del clitoride, più che nel resto d’Europa. Storie che spesso emergono poco solo perché non denunciate il più delle volte. Il trend è in crescita. 

Solo lo scorso anno, a Viareggio, una quindicenne di origine pakistana, si è vista puntare contro un grosso coltello dal papà che voleva convincerla a convolare a nozze con un cinquantenne. Nella colluttazione è rimasta ferita ad una mano la mamma che era intervenuta per difendere sua figlia. Grazie all’intromissione della donna, la ragazzina, nonostante fosse sotto choc come la sorellina di otto anni, è riuscita a trovare il tempo per chiamare i soccorsi e scongiurare una tragedia.

Ma non sempre questi reati sono denunciati. È il caso di Farah, portata da Verona a Islamabad per abortire contro la sua volontà. O di Sana che nel 2009 fu strangolata dal papà e dai fratelli dopo essere stata portata in Pakistan, perché voleva sposare un ragazzo bresciano e non l’uomo che suo padre aveva scelto per lei. Stessa storia per la madre di Nosheen, donna pakistana uccisa per essersi opposta di far sposare la figlia con il cugino 53enne. Due anni fa, a Pisa, un uomo bosniaco aveva segregato le sue figlie per impedire loro di vedere i rispettivi fidanzati. Le aveva già vendute per circa 12mila euro l’una a due cugini che vivevano nello stesso accampamento perché alle donne, in determinate culture, è normale dare un prezzo come fossero oggetti. Un fenomeno che cresce sempre più sotto i nostri occhi e che in Francia e in Inghilterra - dove l’immigrazione da gestire è ormai una realtà consolidata da decenni - ben conoscono. 

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