Brexit, ok dai ministri Ue all'intesa
e la premier May resta in sella

Brexit, ok dai ministri Ue all'intesa e la premier May resta in sella
di Cristina Marconi
Martedì 20 Novembre 2018, 11:30 - Ultimo agg. 12:32
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LONDRA - Non sono del tutto compatti, i Ventisette stati membri della Ue, quando si tratta di sostenere l'accordo per l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea. Madrid ha infatti minacciato di mettersi di traverso se non si esplicita nero su bianco che «i futuri negoziati su Gibilterra», territorio britannico a sud della penisola iberica, «sono separati» da quelli sulle relazioni tra Londra e l'Unione europea e vengono gestiti in maniera bilaterale con Madrid. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri spagnolo, Josep Borrell, precisando che «fino a quando questo non sarà chiaro nel testo di uscita e nella dichiarazione politica sulla relazione futura, non possiamo dare il nostro assenso».
 
La questione di Gibilterra è regolata in un protocollo che crea una nuova forma di cooperazione tra Londra e Madrid per gestire la faccenda, ma un articolo in cui si parla dei futuri rapporti da negoziare tra Regno Unito e Unione europea non menziona esplicitamente la situazione eccezionale della rocca. Molti ministri sarebbero d'accordo con la richiesta di chiarezza di Madrid, ma per non riaprire i negoziati e dare ossigeno alle speranze di alcuni politici britannici e non solo di modificare il testo, a Bruxelles si penserebbe a un allegato. E insieme alla Francia, la Spagna ha espresso anche qualche perplessità sulla proposta del negoziatore capo Ue Michel Barnier di estendere al 2022 il periodo di transizione per permettere al Regno Unito di adattarsi alle nuove regole prima di uscire dalla Ue.

Un invito che la premier Theresa May, sopravvissuta per ora agli attacchi e ai complotti di questi giorni, ha comunque respinto al mittente. «Penso sia importante che, per dare un risultato ai britannici, si sia fuori dal periodo di transizione prima delle prossime elezioni generali», previste per il maggio del 2022, ossia quasi sei anni dopo il referendum, ha spiegato la May, che ieri ha fatto un intervento deciso alla CBI, la confindustria britannica, e ha annunciato di voler introdurre una politica dell'immigrazione basata sulle capacità, tale da impedire ai cittadini europei di «saltare la fila» rispetto «agli ingegneri di Sydney e agli sviluppatori di software di New Delhi». Parole che non le varranno la simpatia dei paesi Ue ma che ben illustrano gli argomenti sui quali la May sta facendo leva per superare questo momento di debolezza e mostrare quell'intransigenza che i Brexiteers l'accusano di non avere. Sullo stesso palcoscenico il leader del Labour Jeremy Corbyn ha spiegato poche ore dopo che la Brexit può essere il «catalizzatore della trasformazione economica» del paese, ma ha ribadito che il suo partito voterà contro l'accordo raggiunto dalla May. Per tutta la giornata si sono susseguite le voci su un possibile voto di sfiducia nei confronti della premier, ma in serata il numero delle lettere presentate dai deputati non aveva ancora raggiunto le 48 necessarie.

In uno scenario di incertezza che rischia di durare fino all'appuntamento parlamentare di metà dicembre, è giunta la notizia che il London Stock Exchange trasferirà a Milano la piattaforma di trading obbligazionario MTS Cash già il primo marzo del 2019, a poco meno di un mese dalla Brexit, dando seguito al desiderio di Ue e Banca centrale europea di riportare questo segmento di mercato nella zona euro per poter regolamentarla direttamente. Lo spostamento garantirebbe la prosecuzione del trading transfrontaliero anche nel caso in cui si arrivasse a un no deal. Mts Cash scambia in media 13,4 miliardi di euro di obbligazioni al giorno. Circa il 20% andrà a Milano, mentre il trading di titoli di stato britannici rimarrà a Londra.
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