Israele, i miklat che salvano la vita: 22 secondi per arrivare nei rifugi

Le nuove case hanno una safe room: mura blindate e maschere antigas

Israeliani in un rifugio dopo il segnale d'allarme
Israeliani in un rifugio dopo il segnale d'allarme
di Nello Del Gatto
Venerdì 13 Ottobre 2023, 23:30 - Ultimo agg. 14 Ottobre, 11:38
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Ventidue secondi. Se vivi ad Ashkelon, ad Ashdod o in qualsiasi città nei pressi della striscia di Gaza, è questo il tempo, dal suono delle sirene che hai per raggiungere il più vicino miklat, i rifugi antirazzo. Ventidue secondi che possono decidere della tua vita. Certo, il grande scudo Iron Dome è pronto ad intercettare i razzi che arrivano da Gaza, ma capita che qualcuno sfugga. Se vivi a Tel Aviv, il tempo di reazione, da quando suonano le sirene che annunciano l’attacco, è di un minuto e mezzo. Qualche secondo in più per Gerusalemme. Qualcuno scrive che gli israeliani sono abituati ai razzi, agli attacchi terroristici, agli attentati. Non ci si abitua mai alla violenza, all’orrore. 

La paura è sempre dietro l’angolo. La vivono allo stesso modo israeliani e palestinesi, per i quali chi hai di fronte può essere un amico o un nemico, può avere un’arma da fuoco o bianca, può salire sull’autobus, vestire i panni di un agente o guidare un’auto che ti piomba addosso alla fermata dell’autobus o al check point. È un tutto contro tutti che aumenta violenza, odio e orrore basandosi sulla paura. A Gaza non ci sono bunker, non ci sono miklat, se non quelli che utilizzano i leader di Hamas, della Jihad Islamica palestinese e di coloro che governano la striscia. Spesso i razzi vengono lanciati da abitazioni private, da persone disperate, ridotte alla fame, rendendo di fatto questi degli scudi umani. 
 

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Gli israeliani hanno invece investito molto nei miklat. Le case di nuova costruzione, hanno all’interno dell’appartamento una “safe room”. Mura blindate, porta blindata con chiusura dall’interno e dall’esterno, finestre piombate. Non grande, spesso destinata a magazzino in tempi di pace o in stanza aggiuntiva, per ospiti occasionali. Come a casa mia, quella in affitto a Gerusalemme, dove ci siamo rintanati nei giorni scorsi, in un misto di paura, di fermezza per non far spaventare i bambini che non capiscono, di senso di colpa per la consapevolezza di essere fortunati rispetti a coetanei che a qualche centinaio di chilometri di distanza non hanno come ripararsi e che rischiano la vita perché hanno avuto solo la “colpa” di essere nati dalla “parte sbagliata del confine”. Nella maggior parte delle volte, in una parte della stanza, una cassetta, una scatola, nasconde maschere antigas. Ma non tutte le case possono contare su un proprio miklat, sia perché sono considerati luoghi più sicuri, perché più lontani dalla striscia, o perché sono case piccole o più vecchie. E allora, quando compri o affitti casa, devi informarti su dove sia la miklat più vicina. Normalmente sono presenti come bunker sotterranei nei parchi pubblici, o nei sotterranei dei palazzi, ce ne sono negli alberghi o nei luoghi di aggregazione come palestre, campi sportivi o piscine anche non professionali. Sono indicate da cartelli, come quelli che identificano i luoghi di riunione nei siti soggetti a tsunami o terremoti. 

Cartelli in ebraico, non in altra lingua, neanche in arabo, indicano i luoghi. Non ho esperienza personale, ma ho chiesto ad amici se si fosse mai trovati nella stessa miklat arabi ed ebrei, anche quelli che vivono negli stessi quartieri. La risposta è sempre stata negativa. Quando vivi in queste città con le sirene ci convivi. Suonano per segnare l’inizio delle cerimonie, come il minuto di silenzio per le vittime della Shoah e altre, per sottolineare momenti importanti in giorni particolari. A scuola ti fanno fare le esercitazioni. Ma quando suona la sirena per i razzi, è tutto diverso. E cominci a contare i secondi.
 

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