Joe Biden e Benjamin Netanyahu non si sono mai piaciuti veramente. Da una parte un democratico, dall’altra un alleato dell’ultradestra. Da un lato il vicepresidente con Barack Obama, “colpevole”, a detta di Netanyahu, di avere siglato l’accordo sul nucleare iraniano. Dall’altro lato un feroce oppositore dell’intesa e per di più amico di quel Donald Trump che ha ritirato gli Usa dall’intesa. Due uomini con agende completamente diverse. Riuniti dopo il 7 ottobre, ma che adesso, dopo più di dieci mesi di guerra, appaiono sempre più distanti. Il punto di non ritorno sembra sia stato l’ultimo round di colloqui andato in scena tra Il Cairo e Doha. Biden ha spinto fino all’ultimo per l’intesa tra Israele e Hamas, sostenendo più volte che l’accordo non era mai stato così vicino. Ma le risposte delle due parti sono state diverse da quelle che si aspettava il capo della Casa Bianca, al punto che da Washington è arrivato un vero e proprio ultimatum. Un’ultima proposta da “prendere o lasciare”, e che secondo il portavoce del ministero degli Esteri turco ha una scadenza di due settimane. Quindici giorni esatti di tempo: «Se non ci sarà una risposta affermativa, gli Usa si ritireranno dai negoziati».
LE ACCUSE
La tensione è sempre più alta, specialmente dopo l’ultima conferenza stampa di Netanyahu. Lunedì sera, parlando alla nazione, il premier israeliano ha confermato la sua linea: che le truppe israeliane devono rimanere lungo il Corridoio Filadelfia. E per le trattative con Hamas, questa posizione rischia di essere una pietra tombale. Lo ha fatto capire anche una fonte della Cnn commentando le parole del primo ministro: «Con il suo discorso ha fatto naufragare tutto». Ieri Biden si è rifiutato di rispondere a nuove domande su Netanyahu. Mentre il portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller, ha ribadito ancora una volta che “è tempo di finalizzare quell'accordo". E la speranza è che Israele sia disposto almeno a ridurre le truppe lungo il confine.Il rischio di ricominciare da zero è reale. Un’ipotesi che preoccupa tutti, specialmente perché adesso le fiamme del conflitto iniziano a propagarsi pericolosamente anche in Cisgiordania. Ieri le Israel defense forces hanno ucciso altri due palestinesi armati a Tulkarem. E nel mezzo dei raid israeliani, l’Autorità nazionale palestinese è preoccupata. «Teme che Hamas organizzi un colpo di Stato contro di lei, come ha fatto in precedenza nella Striscia di Gaza», ha detto una fonte israeliana a Sky News Arabia, o che ci sia un nuovo 7 ottobre. Uno scenario da incubo. Lunedì sera, Netanyahu ha mostrato una mappa di Israele con la Cisgiordania parte dello Stato ebraico. L’Iran è da tempo interessato a far sì che la West Bank diventi un terzo fronte. E gli Usa, per evitare il peggio, ora devono provare a gestire Bibi e reindirizzare i rapporti con il loro migliore alleato in Medio Oriente.
LA SPACCATURA
Biden non ha molti interlocutori all’interno del governo israeliano. Senza più Benny Gantz, (che ieri ha detto che Netanyahu ha «perso la strada», ma «non è un assassino») per gli Usa c’è solo il ministro della Difesa Yoav Gallant, sempre più un corpo estraneo rispetto a Netanyahu e all’ultradestra. Washington può fare affidamento su altre figure esterne all’esecutivo, in particolare sul direttore del Mossad, David Barnea, coinvolto nelle trattative con Hamas. Biden ha ottimi rapporti con il presidente, Isaac Herzog. Ma la Casa Bianca sa deve trattare necessariamente con Netanyahu. E il premier, pressato dalla piazza, dalla sua maggioranza e dagli alleati internazionali, appare sempre più in affanno. Ieri ha attaccato anche il Regno Unito, definendo «vergognosa» la scelta di sospendere parzialmente la vendita di armi allo Stato ebraico. E nel fine settimana, nella speranza di trovare una via d’uscita per gli ostaggi, si è anche rivolto a Vladimir Putin, inviando a Mosca il suo consigliere militare, il maggiore generale Roman Gofman. L’obiettivo della missione, ha spiegato l’ufficio del premier «era quello di far progredire l’accordo sugli ostaggi», e di discutere di uno di loro in particolare, Alexander Lobanov. Tra i sei rapiti trucidati da Hamas ritrovati sabato sera dall’Idf e la cui vedova ieri si è rifiutata di incontrare lo stesso Netanyahu. La scelta di rivolgersi alla Russia, nonostante sia alleato fedele dell’Iran, può essere un ulteriore segnale difficoltà di Bibi e della sua frustrazione con gli Usa. Putin, in questi mesi, ha cercato di inserirsi nella partita parlando con Hamas, ospitando le fazioni palestinesi, rafforzando l’alleanza con l’Iran. Ma storicamente, la Russia ha anche ottimi rapporti con Israele. Anche se la partnership, negli ultimi tempi, si è ridotta. La spaccatura con Biden potrebbe aiutare il Cremlino a riallacciare i rapporti. Ma la strada resta in salita. E Netanyahu adesso appare sempre più isolato e con sempre meno vie d’uscita.