Omicidio Regeni, il Washington Post: "Ecco
perché in Egitto era una minaccia" -Foto

Giulio Regeni
Giulio Regeni
Martedì 8 Marzo 2016, 11:57
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Per quale motivo è stato ucciso il giovane Giulio Regeni? L'esperto di scienze politiche Jean Lachapelle, che ha compiuto diverse ricerche in Egitto, ha cercato di rispondere a questa domanda analizzando i motivi della tragica morte del suo collega italiano, ucciso al Cairo e ritrovato su una strada tra la capitale e Alessandria il 3 febbraio scorso. In un contributo pubblicato sul Washington Post, Lachapelle ha sottolineato che la morte di Regeni è stata vissuta come «uno shock profondo da chiunque abbia condotto ricerche in Egitto». «Come lui, ho intervistato attivisti di sindacati indipendenti. E come molti altri cittadini non egiziani, ero d'accordo con quanti sostenevano che il mio status di straniero mi offrisse una certa protezione da forme estreme di abuso fisico», ha dichiarato Lachapelle. Il dottorando della University of Toronto ha evidenziato che «non è immediatamente evidente il motivo per cui le autorità potrebbero aver considerato Regeni una minaccia. (Il ricercatore, ndr) studiava i sindacati indipendenti, un argomento apparentemente innocuo in un Paese dove la sinistra non solo è debole, ma anche ostile ai Fratelli Musulmani, il principale gruppo di opposizione al regime. Inoltre, lo studioso non era l'unico accademico a studiare sul campo questioni delicate. Alcuni ricercatori hanno intervistato attivisti dell'opposizione, compresi i membri della Fratellanza Musulmana, mentre altri studiosi hanno pubblicato critiche al regime. Eppure questo giovane studente è andato incontro a un destino così brutale. Perché?».


 Lachapelle, analizzando come le forze di sicurezza egiziane percepiscono le minacce e selezionano i loro obiettivi, ha sostenuto che le sue ricerche gli hanno insegnato due cose. «La prima è che le forze di sicurezza prestano molta attenzione a eventuali segnali di politicizzazione all'interno del movimento operaio. Sotto il regime dell'ex presidente Hosni Mubarak - ha spiegato - le forze di sicurezza hanno stabilito una netta distinzione tra le rivolte di tipo politico e quelle economiche. Le proteste per il lavoro sono state spesso tollerate o ignorate finché i manifestanti non hanno avanzato rivendicazioni politiche. Parallelamente, anche agli attivisti politici è stato permesso protestare e criticare il regime fino a quando non hanno tentato di fomentare le masse contro il governo». «In secondo luogo - ha proseguito il dottorando - le forze di sicurezza hanno idee diverse circa le cause della mobilitazione popolare. Le autorità egiziane hanno sviluppato teorie su come sono esplose le agitazioni popolari nel 2011, ritenendo che i disordini siano stati guidati da forze politiche ben organizzate capaci di manipolare il cittadino medio per fini politici». Secondo Lachapelle, l'apparato di sicurezza egiziano è inoltre convinto che nella rivoluzione del 2011 abbiano avuto un ruolo chiave anche «cospiratori stranieri, come Hamas».

 Alla luce di queste considerazioni, il dottorando ha spiegato come sia «possibile che le attività di ricerca di Regeni siano state mal interpretate come basi per la preparazione di una nuova rivolta. Aveva costruito legami con soggetti locali, partecipava a riunioni con attivisti sindacali e parlava un ottimo arabo - una capacità essenziale per un ricercatore, ma che purtroppo tende a sollevare sospetti». «Forse - ha concluso - il rapimento di Regeni è stato ordinato dopo una lunga sorveglianza. O forse è stato semplicemente prelevato in strada da agenti agitati mentre si recava a incontrare un amico e i sospetti nei suoi confronti si sono riaccesi durante la detenzione. In ogni caso, il fatto che sia stato 'interrogato per sette giorni' indica la probabilità che le forze di sicurezza lo vedevano come una minaccia».
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